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Cercare di esprimere, immettendolo nella normalità, ciò che la fonda e insieme la supera, cosa che mi pare di leggere nelle intenzioni di Rajeev Badhan, giovane drammaturgo italiano, ora Direttore Artistico del Teatro “Chiabrera” di Savona, a

confronto con l'eccesso di Fedor Dostoevskij, ha non solo un effetto estetico dissociante ma talvolta addirittura 'infettivo', come fosse un virus che penetra artisticamente la percezione interiore della nostra esistenza, ovvero 'esplosivo' come il Grisù in una miniera di carbone.
Questa interessante drammaturgia ispirata al famoso racconto “Le notti Bianche” del genio russo,  dimostra l'efficacia scenica di una siffatta intenzionalità, attraverso una sorta appunto di esplosione delle forme consuete e quotidiane che 'imbozzolano' un gruppo di giovani artisti i quali, molto metatreatralmente, durante una cena, si pongono la difficile questione della rappresentabilità dell'eros, dell'amore tra cuore e mente, tra sentimento e pensiero, tra realtà e immagine, magistralmente disegnata in quel testo.
Nikolaj Berdjaev, nel suo bel volume su Dostoevskij, coglie in profondità questi elementi quando in proposito scrive: “È l'elemento dionisiaco. Esso strazia l'uomo. La via dell'uomo in Dostoevskij è la via del dolore. L'amore in lui è un'eruzione vulcanica, un'esplosione dinamitica della natura passionale dell'uomo. Questo amore ignora leggi e forme. In esso si manifesta la profondità della natura umana”.
Seguendo questa suggestione, dunque, la narrazione scenica, che nasce attorno all'ordinario di quella cena, che la scrittura ben espone anche nel suo essere desiderio di normalità e quindi di (fragile) difesa, si frantuma in una continua proiezione nell'instabile universo dell'immagine e del rumore di fondo della vita, che i video sovrapposti alla carne viva della scena, sottolineano nella loro espansione spaziale, avvinghiata quasi a quella 'temporale' della musica.
È il doppio che si sovrappone per cercare di produrre l'uno, ed enfatizzando lo spazio che separa il sé dal sé ci si avvia a tentare l'unità dell'identità dell'esserci nel mondo; in questo sono molto illuminanti le parole di un altro grande studioso del romanziere russo, René Girard: “Il doppio espulso, l'unità ritrovata, sono l'angelo e la bestia romantici che svaniscono per fare posto all'uomo nella sua interezza”.
In questo risulta appropriata la regia, dello stesso Badhan, che espone alla scena, curando anche i video, le luci e le musiche, la drammaturgia di Elena Strada, in quanto è appunto una regia più 'musicale' che drammaturgica, non solo nel senso della egemonia del suono quanto per la lirica ritmica che caratterizza, come una melodia ossessiva, la parola recitata, in ciò ricordando più il sanguinetiano teatro in (con) musica, nelle sue famose collaborazioni con Luciano Berio o Andrea Liberovici, che una più tradizionale o consueta sintassi rappresentativa.
I tre giovani attori in scena, Elena Strada, Ruggero Franceschini e Alberto Baraghini, sono bravi a dare insieme una maschera concreta ed una 'fantasmatica' ai loro personaggi, calandosi pienamente, in mimica e tonalità della voce, dentro quello sdoppiamento anche doloroso.
Uno spettacolo che mostra una già buona preparazione ed intenzioni artistiche che ci auguriamo durature, al di là di certe immaturità che segnano una scrittura, drammaturgica e scenica, certamente in evoluzione.

Al Teatro Sociale di Camogli, sabato 3 febbraio. Il pubblico ha mostrato di apprezzare.
NOTTI, regia, luci, video, musiche Rajeev Badhan, drammaturgia Elena Strada, con Elena Strada, Ruggero Franceschini, Alberto Baraghini, scene Rajeev Badhan/Elena Strada realizzate da Matteo Menegaz, direttore della fotografia Federico Boni, produzione esecutiva Rajeev Badhan, assistente alla produzione Alex Paniz, produzione SlowMachine con il sostegno di Fondazione Teatri delle Dolomiti, FUNDER 35, Fondazione Cariverona

Foto Elisa Calabrese