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Viene in mente “La lettera rubata” di Edgar Allan Poe: è lì ma nessuno la vede, nessuno se ne accorge, nessuno la trova. L’eccesso di visibilità nasconde l’oggetto scomparso, lo rende invisibile. Va un po’ così anche per la figura e la vicenda di

Barabba, per come ci sono narrata dai quattro Vangeli: sta lì è ci colpisce e indigna il fatto che il popolo abbia scelto di salvare lui, un assassino probabilmente, invece del Nazareno, eppure sembra che nessun interesse, nessuna curiosità ci spinga a guardare oltre, a conoscere di più, a sapere chi era veramente costui. Però, a pensarci bene, di quali e quante vicende, minime e massime, nel contesto della storia cristiana e occidentale, la figura di Barabba può essere considerata simbolo e archetipo? Così è sicuramente interessante e stimolante la lettura teatrale di Barabba che la regista Teresa Ludovico ha realizzato sul bellissimo testo omonimo di Antonio Tarantino. Lo spettacolo, dopo aver debuttato a Bari il 2 marzo scorso (nel Teatro Kismet) si è visto in diversi altri teatri italiani e, il 23 marzo, è approdato a Catania sulla scena di Scenario Pubblico. In scena Michele Schiano di Cola (esatto e potente), mentre spazio e luci (un ponteggio, una claustrofobica torre di tubi innocenti che suggerisce le sbarre di una galera o il rischioso contesto lavorativo di un manovale dell’edilizia) sono di Vincent Longuemare. Chi è il Barabba immaginato dalla fervida (e tagliente) creatività di Tarantino? Lo spettacolo è ancora di recentissimo debutto e non va rivelato nei particolari, ma certo non si sbaglia nel definire questo carcerato, peccatore, assassino, come la quintessenza dell’umano: umano, troppo umano, totalmente umano si direbbe senza tema di sbagliare. Talmente umano, nella sua ricchissima confessione/monologo/atto d’accusa e autoaccusa, da coprire ogni piega dell’animo, ogni tentazione e ogni caduta, ogni aspirazione a rialzarsi, ogni minaccia interna ed esterna, ogni innocenza e ogni frustrazione. In altre parole l’umanità in tutta la sua straordinaria e estrema potenzialità. E se questo è il punto di partenza concettuale è chiaro che è appare giusta l’intuizione registica di lasciare che la drammaturgia potesse semplicemente dispiegarsi sui binari di una straordinaria prova attorale e di una lingua affascinante, composita, materna e allo stesso tempo ruvida, ferita, ricca di storie, echi, afrori e di sostanziale caratura espressionistica. Un piccolo congegno teatrale che, una volta attivato, cattura il pubblico, lo colpisce, lo emoziona e se lo porta dietro fino alla fine.
Paolo Randazzo

Barabba di Antonio Tarantino. Regia di Teresa Ludovico. Spazio scenico e luci di Vincent Longuemare. Con Michele Schiano di Cola. Cura della produzione: Sabrina Cocco. Assistente alla regia Domenico Indiveri. Produzione: Teatri di Bari. Crediti fotografici: Balto Videomaker.