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In occasione della XIV settimana della cultura, svoltasi  dal 14 al 22 aprile, Napoli e le zone della provincia campana aprono le porte ai musei, siti archeologici e luoghi di interesse culturale e artistico. Non solo gli studiosi e  gli “addetti ai lavori”, ma anche studenti, scuole, curiosi, famiglie, possono scegliere ogni giorno un luogo della propria città in cui poter imparare, guardare, conoscere momenti della propria storia, osservare tesori nascosti e  riscoprire protagonisti dimenticati. Il tutto rigorosamente in maniera gratuita. In attesa, quindi, del “Maggio dei monumenti” e dell’apertura straordinaria dei musei italiani in occasione del 1 Maggio, la penultima settimana di aprile ci ha fornito un interessante spunto di osservazione anche sul teatro. Il 21 aprile, presso il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, il professore Edo Bellingeri, insegnante di storia del teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma, ha svolto un seminario su uno dei protagonisti del teatro di regia di inizio ‘900: Mejerchol’d. Regista e innovatore russo, conosciuto soprattutto a chi studia storia del teatro ma soprattutto a chi si occupa di studio sulle tecniche dell’attore e della recitazione; ci sorprende davvero intravedere nel catalogo degli eventi della settimana della cultura un incontro così succulento. Ne approfittiamo subito. Presenti alle due ore di approfondimento numerosi studenti dell’Accademia delle Belle Arti che si occupano di regia e analisi della scena, oltre a numerosi  giovani attori. L’evento, a cura di Icra Project, è stato organizzato dal Servizio Educativo della Soprintendenza. Il professore Bellingeri attrae subito l’attenzione della platea, ripercorrendo le vicende della vita di Mejerchol’d, i suoi rapporti con Stanislavsky,  il progetto del Teatro Studio,  il trasferimento del gruppo di lavoro in campagna. Uno degli elementi fondamentali su cui si sofferma è la definizione del progetto del regista: creare per distruggere. L’innovazione e lo sconvolgimento del teatro nei primi anni del ‘900 è spesso sconosciuta a più, ritenendo l’unico momento di ribaltamento delle fondamenta teatrali solo la grande Avanguardia di 40 anni dopo. In realtà l’uomo teatrale e sociale di inizio secolo è colpito da profondi mutamenti e il teatro, come tutte le forme d’arte, ne risente fortemente. Se in Italia l’unico elemento di innovazione fu il Futurismo, poi “fagocitato” dal Fascismo, nel resto d’Europa la regia teatrale era profondamente scossa. In Russia, come in Germania e in Francia. Mejerchol’d punta all’annullamento della riproduzione mimetica sulla scena, rifiuta la riproduzione scenica basata sulla fotocopia della realtà. La sua regia porta avanti il fondale scenico sul proscenio, riduce le figure alla bidimensionalità, figurine immobili, stampate, quasi bassorilievi, la recitazione diventa straniata, scandita, fredda, trasforma addirittura la messa in scena di Ibsen, passando dagli interni borghesi allo studio sulle luci e sui colori. Tutto questo perché? Nulla deve essere imposto al pubblico, che deve sforzarsi di capire a fondo ciò che sta percependo. Nuova visone della figura registica, dell’attore, ma soprattutto dell’interpretazione del testo e del personaggio. Parliamo quindi di un regista che deve esaminare la partitura testuale e gestuale, di un attore che deve attenersi alla partitura gestuale senza cadere nella recitazione naturalista, di un maestro “maieuta” che deve emancipare l’attore. Wagner dall’alto che infonde la sperimentazione e dà il via alla danze. Tutto questo in Europa verrà chiamato “Simbolismo”, verrà criticato, verrà rifiutato, verrà amato da alcuni seguaci. Mejerchol’d stesso vivrà sulla sua pelle momenti di grande critica e di crisi. Fino a quando il Soprintendente ai teatri imperiali lo chiamerà: diventerà così regista di due grandi teatri imperiali. Fortuna, caso o coincidenza, Mejerchol’d riprende il suo cammino ma intuisce anche che il Simbolismo europeo comincia il suo declino. Le strettoie di queste innovazioni portano il regista a rivedere ciò che non era mai morto: la farsa, gli spettacoli da baraccone. Comincia a studiare nuove tecniche sull’attore, aderisce al grottesco come elemento che permette di attingere alla pienezza della vita, come afferma il prof. Bellingeri, ma soprattutto recupera la Commedia dell’Arte. Se Goldoni e la sua riforma avevano bloccato, secondo Mejerchol’d, l’evoluzione del teatro europeo, la Commedia dell’arte poteva ancora portare avanti quello studio e quelle prerogative sull’attore dimenticate da tempo. Nel 1926 il grande evento: Mejerchol’d mette in scena IL REVISORE di Gogol, autore da lui amatissimo. Il prof. Bellingeri riesce a descrivere il complicato allestimento scenico attraverso le parole. I diversi piani, i diversi episodi, i diversi movimenti che mescolano recitazione, staticità e danza. I manichini, le figure statiche che riprendono l’uso della scena muta finale. L’attesa. Tripudio del pubblico, distruzione della critica. Mejerchol’d viene perseguitato, ucciso, sepolto in una fossa comune. Il prof. Bellingeri ci fa riscoprire il valore di studi e innovazioni così azzardate in quell’epoca,  coinvolgendo anche comuni spettatori  che non avrebbero mai pensato di conoscere Mejerchol’d, il Simbolismo russo e le innovazioni artistiche di inizio ‘900. Il tutto grazie ad un linguaggio semplice, appassionato e coinvolgente, attraverso cui si respira la grande ammirazione dello studioso nei confronti del regista russo, sottolineando ripetutamente che i tempi, i luoghi e la storia a volte  bloccano  l’evoluzione artistica. Per fortuna anche gli scritti e le idee di Mejerchol’d sono giunti fino a noi.