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Sull’attualità e sulla capacità di rappresentazione della società di un testo come il Satyricon di Petronio non ci sono dubbi. Un’opera frammentaria e discontinua, che non dimostra i duemila anni che ha, nella sua aderenza al reale e nel suo modo di stigmatizzare vizi e virtù degli uomini. Eppure, lo spettacolo che è andato in scena al Teatro Vascello di Roma dal 13 al 29 aprile ne ha rivelato una nuova potenzialità

di adeguarsi al presente. Il testo satirico e parodico dell’antichità è stato infatti scelto come paradigma su cui costruire una nuova drammaturgia a più mani. Esito di un progetto pluriennale condotto dalla Compagnia Verdastro Della Monica, con il supporto di varie istituzioni, il “Satyricon. Una visione contemporanea” è un’opera plurale, perché potenzia la molteplicità già insita nel testo di Petronio affidando a sette diversi drammaturghi il compito di riscrivere un capitolo del grande romanzo latino. Gli autori, tra i più interessanti della scena italiana attuale (Luca Scarlini, Marco Palladini, Letizia Russo, Massimo Verdastro, Andrea Macaluso, Magdalena Barile, Lina Prosa), si sono cimentati con una rielaborazione in chiave contemporanea del capolavoro classico. Il testo latino rimane quindi in filigrana, come una struttura tematica e un serbatoio di personaggi e situazioni, cui i drammaturghi hanno attinto per realizzare le loro pièces. I capitoli vanno a formare quello che Luca Scarlini definisce «un kolossal da camera», articolato in quadri che propongono un affondo su una Roma senza tempo, metaforicamente rappresentativa della società in senso più ampio. Il “Satyricon” di Massimo Verdastro, che è l’ideatore del progetto e il regista dello spettacolo, oltre che autore e interprete, sceglie linguaggi diversi, in grado di spaziare dal latino maccheronico (“Quartilla” di Letizia Russo) alla lingua in codice degli sms (“Tra scuola e bordello” di Marco Palladini), nel tentativo di riprodurre la complessità della comunicazione, analizzata attraverso un gioco retorico che culmina nella “clinica del linguaggio” in cui si curano le varie deviazioni linguistiche. I testi propongono figure con un differente spessore scenico, che trovano interpreti di alto livello, capaci di rendere il valore dissacratorio delle parole.  A fare da cornice alla forte struttura drammaturgica è il prologo “La Guardiana” di Luca Scarlini, in cui lo spettatore si trova di fronte una galleria di quadri animati che lo osservano. Introducendo “La pinacoteca di Eumolpo”, Criside (interpretata dalla brava Valentina Grasso) si aggira in mezzo ai videoritratti degli altri attori, dislocati sulle tre pareti del palcoscenico con il loro sguardo fisso sulla quarta parete riempita dal pubblico. L’effetto di moltiplicazione che ne deriva è una delle cifre stilistiche di tutta l’opera, che insiste soprattutto sulla pluralità espressiva, quando iscrive al proprio interno le performances artistiche del pittore Silvio Benedetto o della cantante Francesca Della Monica. Allo stesso modo si può leggere l’attenzione al movimento e alla fisicità degli attori, che contribuisce alla percezione di uno spettacolo complesso e multiforme.  Il risultato è particolarmente felice, grazie alle scelte drammaturgiche originali, che conoscono molti momenti di grande efficacia, come la “Quartilla” di Letizia Russo (che molto deve anche all’ottima interpretazione di Tamara Balducci). L’opera riesce poi a mantenere l’effetto “pastiche” proprio dell’archetipo, mescolando generi e toni, personaggi e macchiette, stili, linguaggi. La notevole prova attoriale conferma la perfetta riuscita di un’operazione che si spera possa presto essere replicata nella sua interezza.