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Vorrebbero riscattare una vita di frustrazioni e di mediocrità, ma soprattutto vorrebbero riuscire a non doversi piegare alle umiliazioni di tutti i giorni, i protagonisti di “Di notte che non c’è nessuno”, la pièce scritta e diretta da Luca De Bei. In scena al Teatro Lo Spazio di Roma dal 9 al 27 maggio, questo nuovo lavoro del drammaturgo padovano (ma napoletano di formazione) è il completamento ideale del precedente “Le mattine dieci alle quattro”, che ha avuto il premio Le Maschere 2011 e vari riconoscimenti internazionali. David Sebasti, Azzurra Antonacci e Gabriele Granito sono un avvocato (sedicente) e due ragazzi che conducono esistenze in bilico tra lo squallore di una quotidianità in cui non si riconoscono e il brivido dello stare ai margini della società, sperando in un destino completamente diverso. Per motivi differenti le loro vite sono profondamente squilibrate, proprio come i movimenti che compiono sulla pedana montata sul palcoscenico, in una specie di duplicazione visiva delle difficoltà di trovarsi una possibilità di affermazione nella società. A cercare questo spazio è soprattutto la ragazza, che sta stretta nei propri panni di commessa al supermercato, disgustata da una routine alienante e a tratti devastante. È pronta a giocarsi qualsiasi carta e a scendere a compromessi di ogni tipo, pur di alimentare il proprio sogno. L’aspetto paradossale è che le aspettative di questi giovani in cerca di riscatto hanno il sapore volgare di orizzonti banali e televisivi. La fortuna che i due vanno cercando abita località legate ai rotocalchi gossippari, dove si possano fare “incontri giusti”, di quelli che aprono le strade del successo. Dalla cassa alla passerella il percorso però è a ostacoli, anche se i due cercano scorciatoie macchiandosi di vari reati. È di notte, nel dirupo vicino alla ferrovia in cui si nascondono, che i due abbordano clienti da derubare. L’incontro con l’avvocato sembra offrire ai giovani una possibilità concreta di realizzare il proprio progetto e per questo non si accontentano di strappargli dei soldi, ma arrivano a rapirgli il figlioletto di pochi mesi, lasciato inverosimilmente in macchina mentre il padre si apparta in cerca di sesso con il ragazzo. Senza sciogliere l’intreccio di una pièce che molto gioca sull’attesa, è sufficiente dire che lo spettacolo trova uno spessore maggiore con l’entrata in scena di Sebasti. Il suo personaggio è infatti l’unico ad avere una complessità, che si definisce appena emerge la sua storia. È nella parte centrale dello spettacolo, nel confronto tra il giovane rapitore improvvisato e il padre irresponsabile e fallito, che scopriamo l’aspetto più interessante del testo. Nel buio della notte viene fuori la natura meno evidente dei personaggi, crollano le apparenze, e i due si scoprono molto più simili di quanto non sembrasse. Pur nella durezza del tema affrontato, “Di notte che non c’è nessuno” sa far ridere lo spettatore, grazie anche alla innegabile abilità degli attori.