Recensioni
Drammaturgia contemporanea in scena
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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È, questo di Dacia Maraini, un titolo riproposto sulle scene italiane, e non solo, con una certa continuità, perché è un testo intelligente (che capisce dunque) e soprattutto, avendo cercato di fare per quanto possibile i conti con il 'prima', perché è una sorta di finestra aperta sul 'dopo', sul nostro futuro, di cui suggerisce tendenze anche anticipandone esiti. A partire dal suo esordio in prima nazionale ad Ancona, Teatro Comunale, nel 1982, nel quale “Mela” era interpretata da Elsa Merlini. Si tratta di una drammaturgia costruita, come essenziale caratteristica dei lavori della Maraini, sul pensiero femminile, sullo sfondo del quale il maschio, in senso lato, appare referente fluido e indistinto, fino, al di fuori di quel pensiero che lo pensa, alla inconsistenza ontologica segno di una crisi esistenziale avviata e, purtroppo, non ancora conclusa. Tre donne in scena, con sullo sfondo, come detto, appendici di personaggi maschili che mai appaiono, la nonna, 'Mela' appunto, che ama la vita perché ama “amare”, fin ad un egotismo ed egoismo che assume i caratteri quasi metafisici della salvezza per sé e le altre, la madre, Rosaria, prigioniera dei sogni del '68 ormai diventati giustificazione esistenziale e via di fuga
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Proiettare la realtà sullo schermo del sogno e della fiaba e trascriverla in quelle lingue è un modo per svelarne e rivelarne i risvolti essenziali, universali ed anche eterni che nella loro incarnazione storica inevitabilmente decadono. Il bel testo di Marco Gobetti, visto al Fringe Festival di Torino, parte da un dato di realtà, la vita di due giovani e la sua tragica fine in un contesto di tensioni e pratiche sociali che cercano di opporsi alla deriva stancamente e grettamente economicista che caratterizza la nostra società, post-capitalista nel senso che il potere ha ormai sottratto la sua stessa visibilità, nascondendosi nella confusione e nella opacità dei comportamenti e delle relazioni, sempre più indotti ed eterodiretti proprio nella loro apparente libertà. Non manca di prendere una posizione, che è anche sociale e politica nel suo senso migliore, ma, attraverso la concretezza esistenziale di due percorsi che diventano man mano paradigmatici, la trasfigura esteticamente così da paradossalmente potenziarne proprio le ricadute collettive, fornendo elementi di comprensione, di significanza metaforica e infine di giudizio che quella stessa comunità ha perso o rischia di perdere. Sole e Baleno sono due giovani che nella
- Scritto da Angela Villa
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Antigone è una delle figure più rappresentate nel teatro contemporaneo, simboleggia il diritto di ribellarsi alle ingiustizie, la volontà di dire, “no”. Ma Antigone non è solo la donna che si ribella al sistema, è una giovane donna che porta dentro di sé la forza arcaica del femminile in quanto generatrice di vita. È empatica, decisa, forte, sia pure nel dubbio, non cede nemmeno di fronte alle insistenze della sorella amata, Ismene, che cerca di convincerla a non opporsi. Maddalena Giovannelli, docente e studiosa di testi del teatro greco, cura la drammaturgia del monologo, interpretato da Arianna Scommegna. Antigone parla attraverso Sofocle e le diverse riscritture del mito, più caratteristiche, del Novecento (Cocteau, Yourcenar, Morante, Zambrano). La parola scenica, in diversi momenti del monologo, risente del lavoro difficile di riscrittura. La docente Maddalena Giovannelli, rielabora il mito con alcuni focus storici e interpretativi, che si riconoscono nell’interpretazione di Arianna Scommegna: riconosciamo la voce smarrita di Anna Politkovskaja; riconosciamo il lavoro minuzioso e generoso di Cristina Cattaneo, medico legale che con l’Istituto Labanof di Milano, ha iniziato a catalogare e dare un nome alle vittime del Mediterraneo, anche in lei sopravvive Antigone. Arianna Scommegna con tutta la sua abilità ed esperienza di attrice, si immerge nel personaggio, cercando di dare uniformità ad un
- Scritto da Daniele Stefanoni
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Se è vero che all you need is love, è anche vero che l’amore spacca i cuori. Come poi esso si intrecci con relazioni, vita e psiche, è uno dei complessi misteri dell’esistenza su cui vari saperi o pensatori non sembrano voler smettere di aver a che fare. Anche il Teatro ha da dire la sua e questa volta lo fa attraverso “Prima”, la drammaturgia del francese Pascal Rambert, drammaturgo e coreografo di chiara fama, al Teatro Grassi di Milano (via Rovello, 2 fino al 28 maggio). Prima parte di una trilogia (sarà seguita da “Durante” e “Dopo”), porta in scena una compagnia di attori alle prese con la preparazione di uno spettacolo in costume, ispirato alla Battaglia di San Romano di Paolo Uccello. Gli intrecci amorosi dei protagonisti sono un puzzle che non vuole comporsi, si ama ma non si è riamati in uno scenario cupo di incomprensione e distanza. La scenografia quasi metafisica e i costumi essenziali (curati entrambi da Anaïs Romand) fanno il pari con la recitazione volutamente stonata, rapita nel pathos
- Scritto da Paolo Randazzo
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“Achille – studio sulla fragilità umana” è uno spettacolo interessante, complesso, delicato. La drammaturgia è insieme di Salvo Tringali e di Orazio Condorelli, in scena c’è Salvo Tringali, mentre la regia è curata da Condorelli. Le musiche sono composte ed eseguite in scena da Riccardo Leotta che si presta anche ad eseguire alcuni movimenti drammaturgicamente significativi. La voce fuori scena è di Denisa C. Sandru. Un lavoro interessante perché indaga, con leggerezza e dissimulata intelligenza un segmento importante della cultura contemporanea, il rapporto tra padri e figli maschi e, più in generale, il declino dei modelli maschili legati alla millenaria cultura patriarcale. Un declino di cui oggi si avverte chiaramente l’accadere nella società, nella vita delle persone, nelle relazioni, nella comunicazione pubblica, nella quotidianità un po’ di tutti, e che tuttavia stenta a configurarsi in una dimensione di concreta efficacia politica. Ed ancora: si tratta di uno spettacolo interessante perché, come è giusto, non attraversa quest’ambito di riflessione socio-politica e antropologica parlandone in astratto, ma raccontando, o meglio facendo vivere sul palcoscenico, una storia. La storia di un giovane
- Scritto da Emanuela Ferrauto
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Assistere alla messinscena di un testo di Franco Scaldati, ritrovando come interprete l’erede del suo teatro, Melino Imparato, attraverso la suggestiva regia di Franco Maresco, proprio il Maresco del duo Ciprì & Maresco, e di Claudia Uzzo, è un momento importante che segna la storia del teatro italiano e della drammaturgia siciliana contemporanea. Il lavoro e l’attenzione che, negli ultimi anni, le studiose Valentina Valentini e Viviana Raciti hanno sviluppato, recuperando tutto il materiale di Franco Scaldati, è un regalo importante e un tassello fondamentale nella ricostruzione storica del teatro degli ultimi quarant’anni. Ricordiamo, infatti, che durante l’incontro di presentazione del Fondo Franco Scaldati, realizzato grazie alle donazioni della famiglia all’Istituto Teatro e Melodramma della Fondazione Giorgio Cini di Venezia, svoltosi on line in periodo di restrizioni Covid a novembre 2020 (ne ho parlato in questo articolo), le studiose hanno descritto il lavoro di recupero, il materiale documentario contenuto all’interno del Fondo, compresi gli appunti e i manoscritti, ridefinendo il percorso drammaturgico dell’apparentemente dimenticato Franco Scaldati. La pubblicazione nel 2022 per Marsilio dei due volumi,