Articoli e interviste
- Scritto da Angela Villa
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Giusto è un monologo scritto nel 2020, in piena pandemia. Vedere questo assaggio, disponibile in rete, ti far venire voglia di vederlo dal vivo. La tecnologia in questo senso ben utilizzata aiuta lo spettacolo dal vivo.. E quindi con piacere mi gusto questo estratto di 30 minuti. Rosario Lisma interpreta Giusto. È un impiegato intelligente, mite e timido in un mondo grottesco di spietato cinismo. I suoi colleghi d’ufficio, all’Inps di Milano, sono crudeli lui non si riconosce in questo mondo falso, lui, nato su uno scoglio in mezzo al mare, si sente straniero e solo. Abita in un appartamento al nord e racconta la vita di un migrante. Si chiama Giusto per un errore dell’impiegato comunale che registrò il suo nome alla nascita. Giusto ha un solo grande impossibile sogno: baciare Gigliola, detta la Balena, la figlia bella
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Esteticamente ed artisticamente parlando, questo per il teatro sembra un periodo di rimescolamento, sovrapposizioni e sconfinamenti, talvolta confusi ma più spesso fecondi e creativi, capaci cioè di agganciare ciò che spesso sfugge ad un primo sguardo distratto, quello che siamo indotti ad usare nella cosiddetta vita di tutti i giorni. È il caso, nella sua declinazione positiva, di questo bello spettacolo su coreografia e drammaturgia (o su drammaturgia e coreografia? Chissà, ma poco importa), di Cristiana Morganti, già solista al Tanztheater di Pina Bausch, in cui la condivisione di linguaggi diversi e la loro spesso lirica commistione ha una efficacia significativa, per suggestioni e pensieri mobilitati da sentimento e parola, che ricorda certe narrazioni sentimentali proprie dei più classici riferimenti creativi della danza in ogni suo tempo e modo estetico. Un racconto dunque cui la danza (insieme alla musica) offre la possibilità di raggiungere territori del cuore e della mente altrimenti irraggiungibili. Cinque
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Finalmente! Dopo dieci anni di precariato sottomesso a deroghe continuamente rinnovate e dopo due anni di lavori di ristrutturazione finalmente, appunto, il gruppo di Teatro Akropolis di Genova ritrova e stabilmente ri-conquista quello che chiamerei il “suo spazio creativo”, più che un teatro e oltre un teatro con le sue mure e le sue strutture tecniche. Uno spazio da sempre polifunzionale, e in questo e per questo aperto ad una creatività multiforme e mutante, che l'efficace ristrutturazione esalta rendendo disponibili soluzioni diverse per accogliere e valorizzare ogni tipo di teatro, dalla drammaturgia di parola, alla ricerca, alla danza e alla musica, alla performance e ora anche al cinema. Soluzioni diverse nel rapporto tra palco e platea, e nella relativa capienza, in grado di dimensionare ascolto e visione in maniera innovativa e coerente con l'idea artistica che anima il gruppo diretto da David Beronio e Clemente Tafuri (in ordine alfabetico ovviamente) sin dalla sua fondazione e dai primi difficili
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Nato da una costola (e la citazione biblica non vuole essere casuale), o meglio come costola del “Festival dell'eccellenza al femminile” promosso a Genova e da diciotto anni diretto da Consuelo Barilari, il premio Ipazia alla nuova drammaturgia, giunto quest'anno alla sua decima edizione, ha man mano conquistato sempre maggiore rilevanza nel panorama nazionale ed, in esso, un suo proprio e singolare ruolo. Ipazia, poliedrica intellettuale (così la definiremmo oggi) alessandrina tra quarto e quinto secolo, cui è dedicato il premio non è infatti solo un simbolo del femminile che si impone in un contesto ostile, ma soprattutto è stata una figura oltre il suo stesso genere, cioè una donna che ha combattuto (purtroppo soccombendo) non tanto per difendere il suo spazio ma bensì anche per affermare un principio di libertà artistica e intellettuale che riguardasse, insieme e con condivisione, uomini e donne. È stata dunque una voce potente che ha dovuto essere isolata e soppressa per
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Antigone (la tragedia) vista da dentro. È quella, in un certo senso oltre la storia e anche oltre lo stesso mito, che Barletti/Waas propongono mescolando epos e lirica, narrazione e drammaturgia poetica e così disarticolando le rigide contrapposizioni, quasi fisiche articolazioni ormai immobilizzate, che la tradizione ha imposto alla sua ricezione, talora forse per depotenziarne gli effetti di liberazione che la consapevolezza porta con sé. Un dentro che è lo spazio chiuso e intimo di una casa privata, ma è anche l'infinito che si apre nell'interiorità di ciascuno di noi se solo volgiamo lo sguardo lontano dall'alienazione del mondo e della Storia per porci nuove domande, forse quelle giuste. Una disarticolazione che è in primo luogo linguistica, nella prospettiva di due idiomi diversi che reciprocamente si
- Scritto da Maria Dolores Pesce
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Una delle qualità esteticamente più evidenti della grande drammaturgia nordamericana a cavallo della metà del secolo scorso è quella di rappresentare 'immediatamente' il sentimento di sé, immediatamente intendendo senza mediazioni che siano la tagliente razionalità di tanti drammi di area tedesca ovvero la fredda rabbia di molti scrittori britannici, di rappresentare cioè il sentimento che si sviluppa dalla consapevolezza della deiezione del sé nell'esserci del mondo. Ne nasce quel caratteristico melodramma che “espone”, del quale tanto cinema dell'epoca e anche successivo si è alimentato con forza, e che ha il suo baricentro nella disperazione di una condizione umana incapace di completarsi, spesso oppressa dalle atmosfere soffocanti del sud e perennemente spinta alla fuga, a quel viaggio verso il nulla che è parte di un immaginario collettivamente radicato, anche ad esempio nella poesia di Walt Whitman o nel grande romanzo che evolve fino alle atmosfere