I libri del mese
Per la segnalazione in questa rubrica inviare esclusivamente libri di teatro o drammaturgia a
Associazione Dramma.it - Via dei Monti di Pietralata 193/c 00157 Roma
Teatro di Sergio Pierattini
- Scritto da Marcello Isidori
- Visite: 4538
Che Sergio Pierattini nasca (e cresca) attore, diplomato all'Accademia Silvio D'Amico, lo si intuisce fin dalle prime battute dei suoi personaggi. Figure in carne ed ossa, e soprattutto spirito, che sembra di vedere e toccare, che non puoi evitare di percepirne i movimenti in scena, i gesti, le espressioni del viso, i respiri. Persone accomunate, oltre che da una verità indiscutibile, da un travaglio esistenziale fatto di piccole cose, come capita a ciascuno di noi, ma anche da profonde ferite che ne hanno segnato o ne segnano l'esistenza. I sette drammi raccolti nel volume declinano, anche se non ordinate cronologicamente, la parabola creativa dell'autore lombardo di nascita ma toscano di adozione. Una creazione drammaturgica rigorosa e classica nelle forme, precisa negli intrecci e limpida nello stile narrativo e dialogico. Unica eccezione, a mio parere, "Il ritorno", la creazione più recente tra quelle pubblicate, che si distacca dagli altri testi per uno stile più "moderno", un dialogo più "sporco" e serrato, un'ambientazione ed una tematica di fondo più attuale. Personalmente il testo che ho apprezzato di più. Molto sentita mi è sembrata l'esigenza di uno sfondo storico nel quale è inquadrata la vicenda minimale che vede protagonista in varie forme, e con diverse presenze, il nucleo familiare. Figli, padri, madri, sono figure onnipresenti e significative in tutte le opere qui pubblicate. Anche per questo, oltre che per le suggestive atmosfere create, il riferimento che mi sembra più pertinente per la drammaturgia di Pierattini è Ibsen. Leggere Pierattini è un'esperienza interessante perchè, soprattutto, ti consente di vedere la scena, come se non fosse solo scritta ma già rappresentata. La pubblicazione è arricchita dalla prefazione di Corrado Bologna e da un saggio di Dario Tomasello.
Teatro
Un mondo perfetto, Il caso K, Il gregario, Il raggio bianco, Le reliquie dell'amore strozzato, Il ritorno, La Maria Zanella
di Sergio Pierattini
Editoria & Spettacolo, 2011
Pagg. 326 € 18,00
Per acquistare il volume
Quattro mamme scelte a caso di AAVV
- Scritto da Marcello Isidori
- Visite: 3207
Quando nasce una nuova casa editrice è sempre una buona notizia, soprattutto in un periodo in cui la cultura sembra che sia l'ultima cosa in ordine d'importanza. Quando poi una casa editrice dedica una collana al teatro, sia drammaturgia che saggistica, allora la notizia, oltre che bella, è anche piacevolmente sorprendente. Augurando al gruppo di coraggiosi della Caracò editore le migliori fortune, ho il piacere di presentare qui il primo volume pubblicato per la collana "Teatri di carta". Si tratta di una raccolta di quattro monologhi scritti da altrettanti drammaturghi, con l'intento di celebrare i temi e le suggestioni dell'opera di Annibale Ruccello: Mamma - Piccole tragedie minimali. I quattro autori, Alessio Arena, Luigi Romolo Carrino, Massimiliano Virgilio e l'ideatore del progetto Massimiliano Palmese, si sono cimentati dunque in quattro brevi testi che hanno il pregio di evocare, pur con temi e cifre stilistiche difformi, le atmosfere dell'opera di Ruccello. Comune denominatore, oltre l'intento celebrativo del drammaturgo napoletano, la voce monologante di una madre ed il racconto della sua storia. Quattro figure materne senz'altro originali, con racconti più o meno realistici. Una madre che si lamenta della propria figlia pur ricordando i fatti più belli della maternità e della propria vita (Il fatto più bello di Massimiliano Virgilio); una madre e nonna che, pur trovandosi bloccata su di una sedia a rotelle, dimostra di essere molto più presente alla vita (utilizza ad esempio con disinvoltura tutti gli strumenti di comunicazione della tecnologia digitale) e molto più attenta ai fatti dei propri parenti e figli (70 mi da tanto di Luigi Romolo Carrino); la vicenda surreale di una madre impazzita che cura e parla con un albero credendolo suo figlio (Sciore Arancia di Alessio Arena) e infine la mamma defunta che tenta di salvare il figlio esortandolo a scappare da un'Italia alle soglie della catastrofe (La pocalisse di Massimiliano Palmese). I quattro monologhi sono anche uno spettacolo che ha debuttato due anni fa prodotto da Nuovo Teatro Nuovo e Medea.net per la regia di Roberto Azzurro. Il volume è integrato dalla postfazione di Dario Tomasello e dalle biografie dei quattro autori napoletani.
Quattro mamme scelte a caso
di Alessio Arena, Luigi Romolo Carrino, Massimiliano Palmese, Massimiliano Virgilio
Caracò, 2011
Pagg. 90 € 7,00
Per acquistare il volume
La statua, Ordinaria violenza, Vico sirene di Fortunato Calvino
- Scritto da Emanuela Ferrauto
- Visite: 4230
Prima di salutare questo lungo 2011, anche il regista-autore Fortunato Calvino ha voluto regalarci la sua ultima raccolta. Tre testi, editi da Bulzoni e inseriti nella collana di Teatro Italiano Contemporaneo a cura del SIAD. LA STATUA, in scena negli anni ’90, ORDINARIA VIOLENZA scritto nel 2006, VICO SIRENE, l’inedito mai messo in scena. Il 7 dicembre la Biblioteca Nazionale di Napoli, nella sua particolare Sala Rari, ospita la conferenza stampa di presentazione. Presenti, oltre Calvino, Maricla Boggio e Mario Lunetta, rappresentanti del SIAD, il prof. Lombardi Satriani, ma anche nomi come Igina di Napoli, prof. Mariano D’Amora, Nino Daniele, Antonella Schiavone, Paolo Valerio e Claudio Finelli. Spetta a Maricla Boggio aprire la conferenza, descrivendo l’attività di Fortunato Calvino, spesso citato e inserito all’interno della rivista Il Ridotto, gestita appunto dal SIAD. Lo stesso Calvino ha ricevuto il premio Calcante con uno dei suoi testi più famosi, CUORE NERO. Gli elementi che, dopo un’attenta lettura, tutti ritrovano nella nuova trilogia sono molteplici ma seguono un percorso ben definito: il richiamo al teatro civile, la descrizione di quella piccola delinquenza che crea le fondamenta solide di una malavita ben più organizzata, le donne, spesso maltrattate e portatrici di messaggi importanti, l’allontanamento violento dalle proprie radici e la necessità di evadere attraverso la fantasia. Il primo testo, LA STATUA, è un’originale commistione tra realtà e mondo onirico, il tutto ambientato su una descrizione accurata di alcune vie del centro storico napoletano. Da un lato la finzione del racconto, che vede due barboni innamorati di una statua soprannominata Maria, simbolo quasi di una Napoli da amare e proteggere, dall’altro il sogno, il thriller, il sacro e profano. Un’originale fusione di elementi che nascondono profonde simbologie; una storia che sarebbe interessante riprodurre cinematograficamente, più che teatralmente, attraverso le atmosfere dei film del dopoguerra in bianco e nero. Del resto anche Antonella Schiavone, giovane dottoressa che ha realizzato una tesi di laurea sul teatro di Fortunato Calvino, sottolinea gli esordi calviniani da filmaker, elemento che emerge a tratti, tra le ambientazioni dei suoi testi. Mariano D’Amora cita addirittura Viviani, legandolo a LA STATUA di Calvino proprio per il suo mondo onirico. Interessante appare l’analisi di Claudio Finelli che non solo sottolinea la diversità dei tre testi e dei tre dialetti utilizzati, o meglio delle tre sfumature di dialetto napoletano utilizzate, ma nota anche tre rapporti importanti: maschio/femmina, bene/male, sogno/ realtà. Quest’ultimo, citato in riferimento al primo testo, si collega agli altri due: Finelli trova una tendenza alla positività che è rappresentata dalla “femmina” e dal sogno, mentre la realtà rappresenta la verità negativa così come il maschio. ORDINARIA VIOLENZA, titolo ossimorico, racconta la storia di due donne che continuano a vivere in condizioni quotidiane di violenza. Il maschio appare basso, animalesco, violento, inutile, il lettore inorridisce, rimane scosso, inerme. Qui il linguaggio utilizzato cade nella quotidianità di basso ceto, contrastando con la poesia e la ricercatezza del primo testo. In ORDINARIA VIOLENZA si utilizza un linguaggio freddo, volgare, a tratti ripetitivo, metallico, vuoto, come l’anima delle sue donne. Mariano D’Amora lega stavolta il testo di Calvino ad Eduardo De Filippo, in uno scontro generazionale tra teatro di tradizione e quello di post avanguardia. Anche qui gli interni familiari sono in primo piano, ma la violenza familiare non è prevista nei testi edoardiani. Ecco come cambia la società scenica. L’ultimo testo, VICO SIRENE, la cui presentazione era stata fatta circa un anno fa, in anteprima, sembra essere il testo che colpisce di più gli astanti. Il travestitismo, elemento fondamentale non solo nella cultura campana, pur provenendo da lontano e da altre culture come afferma Mariano D’Amora, diventa meccanismo generatore del nuovo teatro napoletano. Un mondo di travestiti, trans, prostitute, che vivono la quotidianità nel vico sirene, secondo regole e meccanismi che a prima vista stordiscono. La lettura del testo ci porta in un mondo costituito, in fondo, da una profonda semplicità di sentimenti e legami. L’omicidio, il giallo, il teatro civile, ricompaiono attraverso una violenza che spesso in Calvino è efferata. Il professor Satriani afferma che la pietas dei personaggi calviniani si rivolge sia alla vittima che al carnefice, attraverso un’analisi etno-linguistica fondamentale. Maricla Boggio sottolinea anche l’importanza del concetto di maschera moderna, come copertura terribile di una sofferenza nascosta. Paolo Valerio ci fornisce inoltre delle spiegazioni storiche: Napoli diventa il mondo dei “femminelli” perché i sodomiti spagnoli in questa città non erano toccati dall’Inquisizione spagnola. Mario Lunetta aggiunge che Napoli, a differenza della Roma papale, è laica, da sempre innovativa e senza restrizioni. Ecco il perché della grande produzione culturale e teatrale; per Lunetta Calvino diventa così un narratore delle vicende napoletane ma senza moralismo, schietto nel descrivere contenuti politici e sociali, senza accontentarsi del pittoresco uso del dialetto tradizionale. In attesa di nuove pubblicazioni e nuovi incontri teatrali, riportiamo l’idea di Igina Di Napoli, direttrice artistica del Nuovo Teatro Nuovo di Napoli: “è indispensabile mettere in scena i testi piuttosto che pubblicarli solamente”. Il teatro ha bisogno di testi di buona qualità ma anche e soprattutto della possibilità di mostrali visivamente al pubblico, ovviamente con la stessa qualità degli scritti.
Emanuela Ferrauto
La statua, Ordinaria violenza, Vico sirene
di Fortunato Calvino
Bulzoni - Siad, 2011
Pagg. 155 € 13,00
Per acquistare il volume
Gli anni piccoli di Enzo Moscato
- Scritto da Valeria Merola
- Visite: 3652
Si presenta come un’autobiografia il nuovo libro di Enzo Moscato, che arriva dopo la raccolta di racconti “Occhi gettati” (Ubulibri 2003). Ma “Gli anni piccoli”, appena uscito per l’editore napoletano Guida, è anche un romanzo, che racconta una storia di infanzia e di adolescenza. Corredato da uno scritto introduttivo di Enrico Fiore, il volumetto è chiuso da un testo di Pasquale Scialò, che rintraccia gli elementi di una musicalità implicita nella parola letteraria di Moscato. Tuttavia considerarlo soltanto un romanzo sarebbe ingiusto e limitativo, perché “Gli anni piccoli” è piuttosto una raccolta di «memo-frammenti e bio-proiezioni», in cui si articola il ricordo, come dichiara lo stesso autore. La narrazione risponde allo stile teatrale dell’artista, decostruendosi dall’interno e frantumandosi in scene e quadretti, che non ambiscono a nessuna esaustività. Al centro delle 120 pagine di Moscato c’è la Napoli dei Quartieri Spagnoli («quella specie di città nella città»), descritti con gli occhi del ragazzino, con toni che sanno essere sia tragici che comici, a seconda che racconti della malattia infantile (la «glandoletta al polmone») o le peripezie per i vicoli. La costante di quello che Moscato chiama «gioco d’impressioni e di sensazioni» è il tentativo di rintracciare in tutti questi «schizzi, graffi, venature, incrinature, macchie, tracce, orme, impronte» le ragioni della propria vocazione teatrale. Ragioni che l’attore-drammaturgo individua per esempio nel piacere narcisistico del bambino inconsapevole che entra alla Standa con la mamma e vince il premio di bellezza. Ma è nella tendenza a fantasticare, a fingersi mondi, meravigliandosi di fronte alla realtà, e quindi anche nella propria napoletanità, che Moscato ritrova le radici di quella propensione naturale a dar vita ai fantasmi, a «fare teatro».
Valeria Merola
Gli anni piccoli
di Enzo Moscato
Guida, Napoli 2011
Pagg. 128 € 10,00
Per acquistare il volume