I libri del mese
Per la segnalazione in questa rubrica inviare esclusivamente libri di teatro o drammaturgia a
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Medea, fortuna e metamorfosi di un archetipo di Elena Adriani
- Scritto da Marcello Isidori
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Medea, fortuna e metamorfosi di un archetipo
di Elena Adriani
Esedra editrice - Padova 2006
pagg. 265, € 20,00
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Esistono miti, antichi e moderni, che possono essere definiti “ridondanti”, poiché offrono alla rielaborazione letteraria e allo studio critico un’eccezionale densità di temi e pluralità di sensi. Soprattutto quando vengono tradotti in forma drammatica, danno origine a una costellazione di testi, ognuno dei quali è intessuto di richiami e di citazioni tratti dai modelli che lo precedono e, nello stesso tempo, grazie alla ridondanza del soggetto, individua e sviluppa nuclei semantici e schemi strutturali inediti, poi ripresi e rielaborati dalle riscritture successive. Tale è il caso di Medea, da intendere sia come titolazione di una vicenda teatrale sia come antroponimo della sua protagonista. Seguendo l’evoluzione del personaggio e del mito dagli archetipi classici ai più significativi rifacimenti moderni, il libro analizza l’intreccio delle costanti e delle varianti, il gioco dei rimandi e delle contrapposizioni che legano una Medea a un’altra: dalle tracce sparse della leggenda arcaica al capolavoro di Euripide, dal dramma perduto di Ovidio alla versione di Seneca, prototipo forse ancor più seguito di quello greco; dalla fedele rielaborazione euripidea di Ludovico Dolce alla tragedia di Corneille; dalla trilogia di Grillparzer all’atto unico di Anouilh. (IV di copertina)
Senza replica di Giuseppe Goisis
- Scritto da Marcello Isidori
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Senza replica
di Giuseppe Goisis
Baldini Castoldi Dalai Editore - Milano 2005
pagg. 182 € 14,00
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Se è ormai una tendenza talvolta abusata quella di acquisire all'interno del teatro e della drammaturgia regole e strumenti che sono propri della narrativa, questo romanzo di Giuseppe Goisis è un esempio di un'esperienza esattamente speculare: la narrativa che fa propri gli strumenti drammaturgici. Una narrativa "teatrale", dunque, che mostra il fascino particolare della novità di un esperimento. Il romanzo non si limita a raccontare la storia di una compagnia e di uno spettacolo ma lo fa imperniando buona parte dello sviluppo narrativo sulla caratterizzazione di vere e proprie "dramatis personae" che, a turno, monologano per raccontare se' stesse e la loro esperienza nell'ambito della storia che le accomuna. Particolare non trascurabile mi sembra il fatto che questi personaggi non siano evocati da un nome ma dall'appellativo del personaggio all'interno dello spettacolo. Questi monologhi sono alternati da stralci di quello che sembra proprio il copione "performativo" dello spettacolo che la compagnia porta in giro. Poi c'è la terza dimensione narrativa, quella più vicina al romanzo, che racconta dall'esterno quanto avvinene dello spettacolo e della compagnia. Ma lo fa spesso e volentieri utilizzando lunghi dialoghi serrati che ricalcano, più nella forma che nel contenuto, i dialoghi di una partitura drammatica completamente priva di didascalie, e quindi, come dovrebbe essere per il teatro, priva di entrate in gioco di un io narrante ed epico. E il risultato realizzato dal gioco combinato di questi piani narrativi è proprio quello di depurare la vicenda (o le vicende?) dall'interpretazione di un punto di vista, che è elemento tipico della narrativa e che dunque la proietta nella dimensione di ciò che avviene hic et nunc, davanti ai nostri occhi, come fossimo seduti a teatro.
M.I.
Trent'anni dopo: Il teatro delle moline a cura di Luigi Gozzi e Marinella Manicardi
- Scritto da Marcello Isidori
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Trent'anni dopo: Il teatro delle moline
a cura di Luigi Gozzi e Marinella Manicardi
EdiSai - Ferrara 2006
pagg. 148, € 12,00
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Il “TEATRO nuova edizione”, questa la grafia suggerita da Luigi Gozzi, o più velocemente “Tne”, festeggia oltre trenta anni di attività, tra le iniziali prove a Torino ed il ben più lungo periodo trascorso a Bologna, dal gennaio 1973 nella sede di Via delle Moline e dal 1974 come vera e propria Compagnia. Lo fa, ma non solo, editando il bel volume che la EDSAI di Ferrara ha terminato di stampare giusto sul finire dell’anno appena chiuso. Va subito elusa ed accantonata ogni impressione di celebrazione o peggio commemorazione, cose che entrambe male e pochissimo si addicono all’esperienza di Luigi Gozzi e del suo, nei molti modi in cui questo suo va ovviamente inteso, teatro, perché questo libro in tutte le sue componenti, la presentazione e la storia a cura dello stesso Luigi collaborato da Marinella Manicardi, la rassegna fotografica e critica di gran parte delle messe in scena di questi trent’anni ed infine le testimonianze dei tanti, me compresa, che con questa vicenda sono entrati in contatto traendone sempre occasioni di crescita e, anche se non sempre manifestata, di gratitudine, sfugge ad ogni retorica e traversa rapido e leggero le vicende artistiche ed in parte anche umane dei protagonisti. E’ un po’, almeno così io credo, come la poetica drammaturgica di Luigi Gozzi che scrive, in senso proprio e lato, direttamente sulla scena in quanto, come scrive lui stesso, due sono gli elementi che condizionano lo spettacolo “la disposizione dello spazio della scena e la disponibilità dell’attore/degli attori”. È una scrittura, come nota acutamente Marinella Manicardi, ed una predisposizione al teatro caratterizzata da una grande leggerezza e anche da, ricorda ancora Marinella, “una certa snobberia”, che però ritrova e innesca sulla scena e nel suo contesto elementi di profondità rari, poiché il teatro è un meccanismo che ha come base il gioco e come fine la conoscenza. La peripezia intorno alla storia di questo piccolo (?) teatro è dunque l’occasione per riappropriarsi di un discorso sul Teatro e sulle modalità con cui questo discorso è stato vissuto e continuerà ad essere vissuto da Luigi Gozzi e dalla sua compagnia. Il volume, come detto, è chiuso dalle testimonianze dei molti che in questi trent’anni hanno lavorato o sono stati in contatto con il Teatro delle Moline, molti di questi hanno preso strade che li hanno portati ad una notevole notorietà e la loro vicenda è dunque esempio di come l’elaborazione sviluppata in questi trent’anni sia stata stimolante nel suo continuare a ragionare, anche in tempi in cui questi elementi sembravano destinati a trasformarsi essenzialmente o a perire, sul testo drammaturgico e sull’attore. Al momento il testo è disponibile presso il teatro ma mi auguro sarà presto distribuito anche nelle librerie.
Maria Dolores Pesce
Otello il Nìvuru di Mazzària di Francesco Randazzo
- Scritto da Marcello Isidori
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Otello il Nìvuru di Mazzària
di Francesco Randazzo
Bulzoni Editore - Roma 2006
pagg. 118 € 10,00
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Premiato al Concorso Ugo Betti nel 2005, e pubblicato come previsto dal premio nella collana "Bettiana" della Bulzoni, questa gustosa rivisitazione della tragedia di Otello in chiave siciliana, appare come una vera novità nel panorama talvolta monotono dei testi più o meno premiati in altri concorsi. Qui l'originalità sta prima di tutto nella lingua: sorta di siciliano arcaico ma spesso vicino ad un latino maccheronico tipo "Armata Brancaleone", dotato di forte teatralità ed estremamente comprensibile. La seconda novità riguarda la reinvenzione di una vicenda nota come quella della Tragedia Shakespiriana, in una chiave moderna per quanto riguarda alcune tematiche e situazioni, contaminate comunque da elementi che moderni non sono affatto. Non è così semplice infatti dare una collocazione temporale certa alla vicenda dell'extracomunitario Otello, trapiantato ed inserito nella comunità di Mazzara del Vallo, e della storia di amore e gelosia che lo coinvolge insieme a Jago (un bisessuale maligno e privo di scrupoli). Moderna è certamente la definizione che l'autore da alla sua opera "una commedia nera e ambigua, uno splatter di cupa e dissacrante ironia, un divertimento da brivido". E moderna anche la definizione che ne da Marco De Marinis nella prefazione al volume: "Testo spudoratamente trash (...) spirale di eccessi truculenti scopertamente inverosimili e volutamente intrisi di un gusto kitsh e pulp, figlio del degenerato immaginario televisivo che ci circonda e sommerge tutti (...)".