Il dramma del mese
Fiato corto di Andrea Monti
- Scritto da Damiano Pignedoli
- Visite: 3290
Una drammaturgia incardinata su un avvicendarsi di battute, fra monologhi e dialoghi a due e tre personaggi, che si snodano lungo un ritmico sviluppo orchestrato su forme e moduli tipici della poesia: ricercando, dunque, una musicalità e un’immediatezza espressiva in grado di fare risuonare, con fulminea carica penetrativa, uno stuolo di concetti e discorsi sul nostro problematico vivere odierno.
In sintesi, ecco presentati i tratti salienti di FIATO CORTO. Un incastro di corti teatrali che nei pensieri del suo autore, Andrea Monti, risponde a un bisogno bruciante di liberazione da certi limitanti schematismi esistenziali indotti, o altrimenti autoimposti in modo inconscio, dovuti al quotidiano turbinio di relazioni e dinamiche sociali che la sovraeccitata epoca attuale tende a innervare di elementi funzionali a un pigro benessere di facciata, alimentato dalle foghe del consumismo con le sue illusive mode e modalità.
Quando, invece, nell’intimo delle persone premono energie e urgenze in cui vibra la voglia di emanciparsi da simili sistemi irreggimentati, per andare piuttosto in cerca di vitali e affrancate vie di pensiero e condotta. Dischiuse, quindi, a una sincera ed espansa connessione con un proprio intimo sentire; sempre in ascolto attento, comunque, del respiro e delle sintonie di chi si ha intorno.
C’è inoltre nel testo un’ulteriore gamma di risonanze, dettate dalla sua matrice metateatrale. Difatti la compagnia di personaggi protagonista dà conto di riflessioni sull’arte del teatro, sul mestiere difficile e magari mal gratificato dell’attore, su certi meccanismi creativi e d’organizzazione che spesso ne serrano la forza comunicativa e d’invenzione. Così, tra un «Fiato corto» e l’altro, si assiste al tentativo di siffatte figure recitanti di stravolgere il senso primario del flusso testuale che sono impegnate a rappresentare, cercando di prendere il sopravvento su di esso oltre che sulla regia che lo accompagna. Quest’ultima – come scrive Monti di suo pugno – viene allora «resa invisibile dalle sollecitazioni degli attori, sui personaggi, che con il rallentamento del respiro diventano sempre più sicuri del loro ruolo e pronti a uscire dallo schema imposto». Poiché «l’alternanza di comicità, assurdità, rabbia, frustrazione lavorativa e bisogno di astrazione» gli consente «di giocarsi la loro possibilità interpretativa»; mentre il pubblico può trovare continuamente «qualcosa a cui aggrapparsi per mantenere alto il livello di curiosità e tensione», grazie al mirato intervallarsi dei diversi interlocutori in scena.
Ne sortisce una drammaturgia dinamica, imprevedibile, fitta di suggestioni e che diverte. Nel senso proprio di questo termine: ossia che verte, volge, altrove. E, nella fattispecie, laddove vi sia gioia da condividere qui e ora.
(dp)
Leggi il testo
Diretto dallo stesso autore, FIATO CORTO è andato in scena per la prima volta al Nuovo Teatro San Paolo di Roma il 17 novembre 2018 (leggi la recensione); con il disegno luci di Mauro Guglielmo, i costumi di Angela Di Donna e Mariagrazia Iovine, la supervisione musicale di Umberto Papadia e l’aiuto regia di Matelda Sabatiello; mentre nel cast di interpreti figurano Martina Barboni, Riccardo Benforti, Emanuele Boscioni, Francesco Casella, Diego Parente, Lisa Recchia e Giorgia Valeri che ha curato anche le coreografie. Per ogni altra informazione, si veda il website “nuovoteatrosanpaolo.it”.
Andrea Monti è regista, autore e attore teatrale. Allievo di Aldo Nicolaj e Maurizio Faraoni, dal 1994 continua ad affinare la sua scrittura orientandosi perlopiù su quella drammatica. Infatti sono numerosi gli spettacoli che ha scritto e prosegue a scrivere, spesso occupandosi di dirigerli per la scena. Anche se si afferma subito come creatore di racconti grazie ai riconoscimenti che, sul finire del secolo scorso, riceve in un paio di premi: cioè lo Studio12, nel 1997, grazie al racconto FUORI!; e, per due volte, quello della Condotta Romana di Slow Food ossia “Racconti di Vino” con le opere SENZA LANGUORE e C’ERA UNA VOLTA UN CAVOLO. In quel periodo, si laurea peraltro in Lingua e Letteratura Spagnola, presso la Terza Università di Roma nel 1998, con una tesi su Alfonso Sastre: noto drammaturgo e sceneggiatore contemporaneo fra i più rappresentati e premiati in Spagna. Diversamente, nel mezzo della sua formazione alla scuola teatrale di Faraoni, realizza ancora nel 1997 la sua prima regia: DOCCIA FREDDA. Dal 2003, invece, tiene corsi di scrittura teatrale e laboratori di recitazione in talune realtà del Lazio quali la Piccola Accademia di Stefano Jurgens, le Officine Teatrali e l’Officina Teatro XI. Nel 2006 fonda la webzine “TeatroTeatro.it” – di ampio seguito fra addetti e appassionati dell’arte scenica – con cui indice altresì il concorso “TeatroTeatro da Mangiare”, dedicato ai corti teatrali inerenti al cibo. L’anno seguente, scrive e dirige con Marco Massaccesi il serial in 10 puntate intitolato ZONA CRITICA, riguardante l’«infame mondo della critica cinematografica» e interpretato da Mauro Mandolini e Lisio Castiglia. Un biennio dopo fonda l’Associazione Culturale Accademia San Paolo per la divulgazione delle arti legate allo spettacolo dal vivo (cfr. www.accademiasanpaolo.com). Si susseguono, poi, alcuni suoi adattamenti concernenti alcuni classici della drammaturgia, di cui dirige anche le rispettive messinscene: ovvero FILUMENA MARTORANO (2011), versione in romano della celebre Marturano creata e scritta da Edoardo De Filippo; 6 PERSONAGGI (2014) dall’altrettanto famosa pièce di Luigi Pirandello coi suoi sei «in cerca d’autore»; e TRILOGIA DER SANGUE (2015) da tre tragedie di William Shakespeare. Dal 2014, sempre a Roma, è direttore artistico del Nuovo Teatro San Paolo, di cui cura la programmazione più le rassegne “Belli Corti” e “Belli Passi” rivolte rispettivamente ad autori teatrali e a coreografi; mentre dal 2012 è drammaturgo e regista della compagnia Dupla Carga (cfr. facebook.com/DuplaCarga). Con questa, negli ultimi anni, ha scritto e diretto diversi spettacoli quali: VERSO ME, PAPADIARIUM, SENZA AFFLATO, ASPETTANDO GODO e, oltre al citato FIATO CORTO, il donnesco FEMMINARIUM che è stato insignito come miglior testo alla rassegna romana del 2016 Testaccio Comic Off, ottenendo ottimi riscontri di pubblico e critica nel corso della successiva tournée nazionale. Di quest’anno, infine, è la creazione del bando “Belli Lunghi” che seleziona testi per il cartellone di drammaturgia contemporanea del 2019-20 del Nuovo Teatro San Paolo.
10mg di Maria Teresa Berardelli
- Scritto da Damiano Pignedoli
- Visite: 2348
«Una scrittura che utilizza con abilità le dinamiche sceniche grazie a dialoghi secchi, di gran ritmo e piglio cinematografico, da cui i personaggi emergono con poche ma decise pennellate. L’ambizione […] è quella di disegnare una storia di ampio respiro, dove analisi sociale, familiare e di coppia si mescolano per raccontare le nostre paure e il nostro senso di inadeguatezza. La sinistra attrazione per l’additivo chimico come soluzione provvisoria dell’infelicità viene così resa senza moralismo, grazie a intense sintesi poetiche e metafore potenti quanto inattese».
(Dalla motivazione della giuria del Premio Hystrio - Scritture di Scena 2015 per la menzione speciale attribuita a 10mg)
10mg parla della mercificazione della malattia attraverso il sistema pubblicitario. Sempre più frequentemente, infatti, attraverso il marketing e la pubblicità viene cambiata la percezione dei disagi quotidiani: che diventano vere e proprie malattie. La pubblicità funziona a tal punto da trasformare molte persone in pazienti e il farmaco, per costoro, diventa come una droga. I nomi dei farmaci usati in questo testo non sono reali, ma ogni malattia menzionata lo è poiché la realtà (come spesso accade) supera di gran lunga la nostra immaginazione.
Due sono i mondi che si muovono, come su binari paralleli, in questo testo: quello di una famiglia e quello di una casa farmaceutica. Nella prima, la Moglie e il Marito sembrano non comunicare e subiscono in modo diverso il problema di un figlio a cui è stato diagnosticato l’ADHD. Nella seconda, il Direttore marketing e Lei – creativa pubblicitaria – sembrano invece comunicare esclusivamente per ragioni lavorative: dopo aver concluso con successo la campagna pubblicitaria per un farmaco contro l’ADHD, stanno lavorando a una nuova per un prodotto contro il dolore da lutto.
Due mondi distinti, collegati dalla figura di un Medico, con cui tutti i personaggi avranno man mano a che fare. Due mondi che solo nel terzo atto si andranno a incrociare, nonostante, fin dall’inizio, dal movimento di uno dipenda il movimento dell’altro.
(Dalle note dell’autrice)
Leggi il testo
Nata a Roma nel 1986, Maria Teresa Berardelli si diploma nel 2008 all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio d’Amico. Nel 2009, vince con il dramma STERILI il prestigioso Premio Riccione “Pier Vittorio Tondelli” per autori under 30. L’anno seguente conquista il Premio InediTO - Colline Torinesi, “Sezione Testo Teatrale”, con ALTROVE e anche la sesta edizione del Premio Fersen con STUDIO PER UN TEATRO CLINICO, mentre è finalista del Bando Nuove Sensibilità con il progetto L’ESTREMO LIMITE. Nel 2012 entra nel gruppo “CRISI”, laboratorio permanente di drammaturgia tenutosi a Roma al Teatro Valle Occupato e condotto da Fausto Paravidino; con il quale, sei anni dopo, ripeterà un’analoga esperienza laboratoriale al Teatro Stabile di Torino partecipando all’«ecosistema» Playstorm, concentrato «sul processo e sulla ricerca drammaturgica, più che sul prodotto». Con Paravidino lavora peraltro come sua assistente regista per gli spettacoli IL MACELLO DI GIOBBE (del 2014), SOUPER (2016), IL SENSO DELLA VITA DI EMMA (2018) e LA BALLATA DI JOHNNY E GILL (2019); così come con Valerio Binasco per la pièce SOGNO D’AUTUNNO di Jon Fosse prodotta ancora dallo Stabile di Torino nel 2017. Frattanto, numerosi altri registi mettono invece in scena i suoi testi: e cioè Camilla Brison, Marianna Di Mauro, Fabrizio Arcuri, Federica Bognetti, Imogen Kusch, Antonio Mingarelli, Nicoletta Robello, Antonio Tintis, Federico Vigorito e Andrea Baracco. Per quest’ultimo – oltre ad assisterlo nella regia degli spettacoli ROMEO E GIULIETTA ed EDIPO RE del 2016, e in quelli del biennio a seguire FINALE DI PARTITA e IL MAESTRO E MARGHERITA – scrive nel 2018 una serie di adattamenti teatrali: UNO, NESSUNO E CENTOMILA dal romanzo di Luigi Pirandello, da cui la messinscena prodotta da Khora Teatro; IL RACCONTO D’INVERNO da William Shakespeare, per la produzione del Teatro Stabile dell’Umbria; e ITACA PER SEMPRE dalla reinvenzione narrativa di Luigi Malerba del mito di Ulisse e Penelope, andata in scena per TrentoSpettacoli. Da teatrante a tutto tondo qual è, tuttavia, lei stessa si cimenta nella regia di proprie drammaturgie montando, per la compagnia Quattroquinte, ALBA nel 2014 e OLIO DI GOMITO. CANOVACCIO PER CINQUE CASALINGHE nel 2015: da poco tornato con successo sulle scene ad avvio di questo 2019 al romano Teatro de’ Servi. E ricordata già la sua affermazione al Premio Hystrio - Scritture di Scena 2015 grazie a 10mg, sono infine da menzionare le diverse pubblicazioni che, a partire dal testo STERILI, compaiono negli anni in vari volumi collettanei editi dalla casa Editoria & Spettacolo di Spoleto: dai succitati ALTROVE e STUDIO PER UN TEATRO CLINICO a PERDERSI e SIGNOR P. STORIA DELLA DISCESA DI UN UOMO E DELL’ASCESA DI UN ALTRO UOMO.
Penelope l'Odissea è fimmina di Luana Rondinelli
- Scritto da Damiano Pignedoli
- Visite: 3070
Al cospetto della reinvenzione drammaturgica compiuta da Luana Rondinelli della figura di Penelope, conviene comunque riportare alla mente il mito da cui prende le mosse e ispirazione.
Non sarà inutile quindi ricordare la ventennale attesa dell’eroina rivolta al suo sposo Ulisse, figlio di Laerte e re d’Itaca nonché padre di Telemaco, preso nelle spire della sua Odissea (in specie tra le braccia della maga Circe) dopo la vittoriosa guerra di Troia.
Converrà pure accennare al cane di questi, Argo, in grado di accorgersi ben prima d’altri della presenza rediviva del padrone, potendo così esalare un ultimo liberante respiro: poiché la Verità, come afferma il filosofo Carlo Sini, è d’altronde solo degli animali e non degli esseri umani. Ancorché essa sia un orizzonte a cui mira l’abbandonata sposa: la quale, nella dilatazione temporale vissuta, scopre dimensioni vaste e insondate di sé che fatalmente collidono con le delimitazioni di una cultura e società a misura della potenza – più che del potere – maschile e senz’altro meno rispetto a quella femminile.
Di qui un annodarsi di interrogativi e visioni che, sulla scena delle parole, assumono i contorni di uno spettro di reviviscenze intermittenti di episodi del passato, messi a emblematico confronto con l’adesso, il poco fa e il domani in cui si dimena l’animo inquieto della sovrana.
Flashback, ritorni al presente e al recente, irrisolti sguardi al futuro, dunque, che vengono raccordati grazie agli interventi che l’autrice riserva a tre umorose Parche: intelligentemente poste nella pièce a cucire e scucire i fili che, come da mythos, danno intreccio e foggia decisiva alle storie e ai destini umani. Tra cui quello possibile delle seconde nozze di Penelope con un pretendente dei Proci invasori: al quale ella sa sottrarsi con l’astuzia, divenuta celebre, di volersi pronunciare sulla scelta del nuovo consorte solo alla fine della tessitura di un sudario per il defunto Laerte. Artefatto che, filato di giorno e disfatto nascostamente di notte, non si completa lasciando così alla donna altro tempo. Per un tempo altro di se stessa.
Pesano, del resto, dentro di lei le onde di trascorsi abusi patiti per paterna mano; il conclamato giudizio maschile, e altrui, verso un certo libertarismo effuso dalle sue condotte; l’abisso pauroso di non avere, al di fuori delle sicumere di un’esistenza agiata e protetta dalla benevolenza del senso comune, un proprio posto in cui sentirsi in diritto di potere finalmente stare.
Lo stuolo di riferimenti stilati finora è per dire, oltretutto, dell’eterogenea complessità che la Rondinelli tesse e ritesse lungo un andirivieni tra le età della vita e di un immaginario che ci permea dagli albori della civiltà; mostrando fin da subito uno sdrucito didentro della regina di cui, da una battuta all’altra, si cerca il risolutivo gesto e la trama che ne riparino gli orditi smagliati. Per esempio, ricorrendo all’immediatezza di una lingua affettiva e della madre terra qual è il dialetto: un siciliano, nella fattispecie, che assume i colori e i tratti della Verità nella follia – che è l’altra faccia dell’autenticità – della maga Magnifica; mentre, tra le labbra delle Parche e di Euriclea (vecchia nutrice di Ulisse), dispensa ironici alleggerimenti e vie di fuga in cui rispecchiare pensieri di differenza rispetto a più stringenti grammatiche istituzionali, e bien faites, di un parlare standard offerto dall’ufficialità dell’italiano.
Tant’è che, difatti, l’ultima apparizione della protagonista si staglia coerentemente in un al di là linguistico: cioè, nell’espressivo mutismo di un andarsene via privo di risposta verbale agli incitamenti animati di Euriclea, con la quale poco prima aveva invece consuonato nel rincorrere cari ricordi legati a Telemaco bambino. Figlio fanciullo, evocato nel corso di una sequenza in cui, ormai adulto, fa sapere alla madre di voler partire in cerca dell’inafferrabile padre.
Con la sua screziata episodica, disseminata di andate e ritorni su frastagliate cronologie esistenziali, la drammaturgia di PENELOPE allora decostruisce l’ordinamento temporale precostituito: ne spezza la costrittiva spirale per ricomporre semmai un modo diverso di affrontare il Divenire. Un modo, ossia, divergente e divaricante in rapporto alle chiusure e pressioni conferite da una visione convergente del vivere, mirante perciò a un unico punto o limite come – tra gli altri – la stessa società odierna ci vuole imporre: con la sua ossessione per il risultato, il raggiungimento di obiettivi e traguardi a tutti i costi. Quando, invece, ognuno di noi è un viaggio, un molteplice evento tramato di vitali impermanenze e derive che, nel loro dirompente accadere, cercano con integrità la direzione spaziante della Gioia.
Leggi il testo
Luana Rondinelli (nella foto di Giovanna Mangiù) è attrice, drammaturga e regista. Nata nel 1979 a Roma, ma di origini siciliane, si diploma alla scuola di teatro palermitana Teatés diretta da una personalità di culto e di rilevante influenza come il compianto Michele Perriera. Continua la formazione presso Ribalte, scuola romana di recitazione guidata da Enzo Garinei, e partecipa a molteplici laboratori; mentre nel 2006, in collaborazione con l’associazione D’altra P’arte, lavora a una riduzione de I CIECHI di Maurice Maeterlinck che va in scena al Teatro Antico di Segesta. Nel 2011 fonda la compagnia Accura Teatro ed è aut-attrice e regista di TADDRARITE: pièce sulla violenza contro le donne, con cui conquisterà il premio della critica al contest internazionale Etica in Atto 2013, oltre a quello del Roma Fringe Festival 2014 come miglior spettacolo e drammaturgia. Vittoria, quest’ultima, che consentirà l’approdo della rappresentazione negli USA al San Diego International Fringe Festival 2016, anticipato dalla chiamata all’In Scena! Italian Theater Festival 2015 di New York. Altri riconoscimenti le giungono di nuovo nel 2013 e nel 2016. Il primo riguarda GIACOMINAZZA, testo da lei creato e recitato, insignito quale miglior scrittura originale al festival nazionale Teatri Riflessi di Catania; il secondo è per A TESTA SUTTA che scrive per l’interpretazione di Giovanni Carta, ottenendo il Premio Fersen alla drammaturgia in un anno che, peraltro, la vede in giuria al prestigioso Premio Mario Fratti di New York. Successi che anticipano il lungo lavoro svolto sulla stesura e creazione di PENELOPE - L’ODISSEA È FIMMINA, coronato alfine dalla vittoria del Premio Anima Mundi 2018 alla drammaturgia femminile, assegnatole al Piccolo Teatro Grassi di Milano, prima del debutto estivo sulla scena delle Dionisiache del Calatafimi Segesta Festival. Un’applaudita e suggestiva produzione di Accura Teatro e Robert Schiavoni, diretta dalla stessa Rondinelli a sua volta interprete insieme a Giovanna Centamore, Corinna Lo Castro, Mauro Failla, Giovanni Maria Currò, Camilla Bianchini e Laura Giordani, fra le musiche di Francesca Incudine, le scene di Veronica Raccosta e le truccature di Antonino Provenzano. Informazioni e approfondimenti, infine, sulla fervente attività di questa intensa teatrante si trovano online al link “facebook.com/accurateatro”.
Aplod di Rodolfo Ciulla
- Scritto da Damiano Pignedoli
- Visite: 1620
In un futuro non troppo lontano, il governo ha dichiarato illegale produrre e caricare in internet materiale video. Siti come Youtube sono stati chiusi e dichiarati fuori legge. Nei meandri del web però esistono siti pirata dov’è ancora possibile condividere filmati. Il più famigerato di tutti è Aplod dove un videomaker può guadagnare un sacco di soldi caricando, ad esempio, il video divertente di un gattino o altro ancora.
In questo mondo, a metà fra un romanzo di George Orwell e una sceneggiatura dei fratelli Cohen, dove tutti sono dediti al lavoro, il nostro protagonista viene licenziato. Spinto dal peso delle bollette e dell’affitto da pagare, stufo di vivere una vita quasi ai margini della società, decide di creare un’associazione criminale dedita a produrre dei filmati da caricare in rete per fare un mucchio di quattrini.
(Dalla sinossi dell’autore)
La vicenda drammatizzata in APLOD fa ridere. Ma sotto le risate c’è la tragedia di una generazione di millenials.
Portando in scena un mondo del futuro, la commedia ci parla delle paure e dei disagi del presente immaginando un avvenire pieno di precariato: in cui lavorare è l’unica cosa che conta e ogni sogno viene soffocato da un sistema rigido votato alla carriera, mentre chi non sta al passo viene tagliato fuori.
L’unico modo per sopravvivere a questo regime è darsi allora alla criminalità nell’opera rappresentata dallo sfavillante mondo del videosharing pirata. Così, nel testo, un sito immaginato come la versione criminale e avveniristica di Youtube diventa una piattaforma di riscatto sociale: dove più Like non significano solo più soldi, ma più fama; e realizzare video vuol dire poter essere chi si desidera senza sottostare al sistema. Ogni Like ti rende migliore di quello che sei.
Temi attuali, e fin troppo presenti nella nostra quotidianità, s’intrecciano nella fiction teatrale: la quale viene raccontata e vista attraverso il buco della serratura del piccolo e angosciante appartamento dove convivono i tre protagonisti. Il pubblico viene invitato a fare da voyeur e a osservare, a suon di risate, il dramma di tre giovani precari e di come il desiderio di evadere da un sistema soffocante finirà per metterli l’uno contro l’altro. Ed è questa la forza della pièce, che ha suscitato grande apprezzamento da parte del pubblico giovane: la capacità di far ridere fino alla fine mentre avviene la tragedia. Così oltre le risate, sia lo spettatore che – nella fattispecie – il lettore si porteranno dietro un leggero, ma duraturo, senso di disagio. Perché ognuno di noi, nel profondo, probabilmente farebbe qualsiasi cosa (perfino uccidere un amico) pur di ottenere un milione di like e cambiare la propria vita.
Rodolfo Ciulla
Da un processo di creazione collettiva dei membri di Fartagnan Teatro, nasce la drammaturgia consuntiva di Rodolfo Ciulla qui in gioco: esito scritto, dunque, di uno spettacolo andato in scena per la prima volta nel 2017 e recitato da Federico Antonello, Michele Fedele, Matteo Giacotto e Giacomo Vigentini, con la voce registrata di Dalila Reas. Una produzione che si avvale delle luci di Giuseppe Musmarra e delle cure scenografiche di Elisa Vannuccini, oltre a quelle di carattere organizzativo di Serena Tagliabue. Tuttora in tournée, la commedia si è conquistata progressivi riconoscimenti da parte di addetti ai lavori e spettatori: coinvolti dai suoi temi e modi capaci di attivare una stimolante adesione, in virtù delle sue connessioni al vivo immaginario delle fiction video e cinematografiche del nostro tempo. Per ogni informazione e novità al riguardo, è possibile consultare la webpage del gruppo al link “facebook.com/FartagnanTeatro”.
Leggi il testo
Rodolfo Ciulla. Nato a Palermo nel 1991 in una famiglia di musicisti, inizia fin da piccolo a studiare canto e recitazione. Affascinato dal teatro musicale entra a far parte nel 2007 dei Solisti di Opera Laboratorio, partecipando alla messa in scena de L’ELISIR D’AMORE di Gaetano Donizetti per l’edizione di TaoArte 2007 a Taormina; inoltre canta nella compagnia d’operetta del Teatro Franco Zappalà di Palermo e nel coro Eufonia per l’Orchestra Sinfonica Siciliana. Comincia a studiare recitazione e, insieme a Linda Uzzo e Emmanuele Aita, nel 2009 crea il Trio Wanninger mettendo in scena LE AVVENTURE DEL RILEGATORE WANNINGER E ALTRE STORIE, liberamente tratte dai testi di Karl Valentin. La sua passione per il teatro musicale lo spinge a trasferirsi a Milano, dove si diploma nel 2013 alla SDM - Scuola del Musical diretta da Federico Bellone. Contemporaneamente si laurea in Discipline delle Arti e dello Spettacolo all’Università di Palermo, presentando una tesi sul musical WEST SIDE STORY di Leonard Bernstein. Come performer lavora poi con le produzioni Wizard Productions e Show Bees per gli spettacoli DIRTY DANCING - CLASSIC STORY ON STAGE del 2014 e FAME - SARANNO FAMOSI del 2016. Sempre a Milano, scopre l’amore per la prosa e, dal 2013, studia alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi diplomandosi in Drammaturgia. Da allora opera come autore e dramaturg in molte compagnie off milanesi: fra cui il Gruppo Teatrale Esperimente che – con la regia di Alessia Punzo – porta in scena il suo testo UN GIORNO QUALUNQUE, ispirato alla vita e alle opere di Alda Merini, nello spazio dedicato alla grande poetessa dalla Casa delle Artiste del capoluogo lombardo. Lavora inoltre come dramaturg presso la compagnia Vicolo del Teatro, al Teatro Martinetti di Garlasco. Nel 2017 invece è tra i fondatori della compagnia Fartagnan Teatro, coi quali inizia un percorso di ricerca per la creazione di un nuovo Teatro Pop. La formazione, infatti, crea e studia spettacoli per il pubblico dei millennials, analizzando tematiche care alle nuove generazioni ed esplorando generi come la fantascienza e la distopia, insoliti per il teatro italiano: il quale, a suo parere, sembra essersi dimenticato di tutta quella fascia di pubblico giovanile cresciuto con i serial Tv e che non va a teatro perché non vi trova storie che riescano ad affascinarlo.