Il dramma del mese
Sciopero di Giacomo Vallozza
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Sciopero è stato presentato in anteprima il 6 agosto 2005 nell'ambito del festival "Incontri 2005" a Loreto Arputino (Pe) alla presenza di molti testimoni dei fatti storici raccontati nel dramma. Lo spettacolo, diretto dall'autore, è con Tommaso Di Giorgio, Irene cocchini, Giacomo Vallozza, Federica Nobilio, Fausto Roncone. Fonica e luci di Pierpaolo Di giulio, Produzione: Associazione Culturale Lauretana. Le prossime repliche previste: il 21.10.05 a Giulianova (TE) - organizzatore Terrateatro, il 16.12.05 a Loreto Aprutino (PE) - organizzatore Teatro del Paradosso, il 9.02.05 Atessa - organizatore Teatro del Sangro, il 31.03.06, 01.04.06 e 02.04.06 a Bari - Teatro Abeliano. In date da definire: a Napoli organizzatore Libera scena ensemble, a Caserta e ad Aversa.
Nota dell'autore
Sciopero affronta il problema dell'identità: quella reale di un figlio che vuole sapere chi è suo padre, scomparso negli anni 50', dopo uno sciopero turbolento con blocchi e sequestri di persona. Quella politico di un gruppo di giovani che vede la generazione che li ha preceduti fondamentalmente disillusa e tradita; infine quella teatrale perchè siamo un gruppo di attori in cerca dei propri padri.
Uno spettacolo intenso che attraverso la vicenda di Zopito (il nome del protagonista), mette in scena la difficoltà dell'esistenza quotidiana di cinque amici attraverso la ricostruzione delle lotte bracciantili che hanno visto protagonisti i loro padri, e quindi attraverso i canti di lavoro e delle feste religiose di un mondo contadino che allora caratterizzava la vita di un piccolo borgo della provincia di Pescara.
Giacomo Vallozza
I premi:
Sciopero ha ottenuto una menzione speciale all'ultima edizione del Premio Annalisa Scafi per il teatro d'impegno civile. Ha vinto l'ultima edizione del premio "Ombra" con la seguente motivazione: Per la qualità e il carattere fortemente sociale dell'opera che intende analizzare un periodo cruciale della storia del nostro paese. Ha vinto il premio Villarosa 2005 e il premio Garcia Lorca di Torino, sezione drammaturgia.
Di cosa parla:
Il 22 marzo 1950 la Camera Generale Italiana del Lavoro indice uno sciopero generale per protestare contro la politica del governo di Alcide De Gasperi e contro il barbaro assassinio di due braccianti a Lentella, un paesino della provincia di Chieti, ai confini con il Molise. Il Ministro degli Interni Mario Scelba, infatti, attuando una repressione militare feroce e intransigente contro ogni forma di lotta sociale, risponde con cariche dell’esercito e leggi antimobilitazione alle richieste di pane e lavoro di innumerevoli disoccupati, braccianti, mezzadri e operai. La storia di Zopito, ambientata a Loreto Aprutino, un paese del pescarese che oggi conta circa settemila anime, vive di riflesso le lotte bracciantili di quegli anni, che vedono la mobilitazione pressoché generale del proletariato per l’attuazione del Piano del lavoro di Giuseppe Di Vittorio. I fatti qui riportati sono forse minori, rispetto a un quadro generale di sommosse che interessano tutta l’Italia; ma hanno lasciato ferite profonde nel tessuto sociale e sono ancora ben presenti nella memoria dei loretesi. I primi anni della repubblica italiana risultano cruciali per il cammino verso la democrazia, non meno caldi dei successivi anni di piombo. Morte, carcere, emigrazione sono il prezzo pagato per le numerose conquiste sociali. Alla memoria di quelle lotte e degli uomini che le hanno vissute, il mio lavoro.
Muri di vita di Davide Monti
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Muri di vita scritta nel 2003 è tuttora drammaturgia inedita.
Di cosa parla
Lui, lei e l'altro. E il figlio di lei e l'altro. Una discesa nelle profondità dell'animo di tre personaggi alle prese con una svolta cruciale e dolorosa nella loro vita. Quali trasformazioni e sbocchi?
Nota dell'autore:
Il soggetto di questo dramma è di quelli che nel ventunesimo secolo non sorprendono più. Una donna stanca della sua vita agiata e regolare, tradisce il marito con un giovane bibliotecario squattrinato e bohemien. Quando rimane in cinta decide di confessare tutto al marito e lasciarlo definitivamente, sognando un futuro da tre cuori e una capanna. Il giovane però non si sente pronto a intraprendere la nuova vita da compagno e papà e allo stesso tempo non ha il coraggio di confidarlo alla donna, finirà col suicidarsi nello stesso momento in cui nascerà suo figlio. Intanto il marito, uomo quadrato e rispettabile, si confida con una prostituta e inizia un lento, ma inarrestabile, declino psicologico, che lo porterà a progettare l’omicidio della moglie e del suo nuovo compagno. Quello che sta dietro alla vicenda, così come dice il titolo del dramma, sono quei muri di incomunicabilità di pinkfloydiana memoria che ci circondano ogni giorno e ci obbligano a dover scegliere tra noi e le persone intorno a noi, persone che amiamo o che pensiamo di amare. Ricorre il tema della morte come soluzione finale ai problemi della vita, o meglio, come non soluzione, ma ottimo sfogo, di tutto ciò che si è accumulato tra le mura immaginarie del nostro spazio vitale. Il finale, tragico, mostra come l'unico personaggio veramente forte sia la moglie, volontà di ferro, metafora questa dei nostri tempi in cui le donne acquistano sempre maggior indipendenza in un mondo allo sbando, ormai orfano alla loro “dipendenza”.
Davide Monti
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Una nota critica
di Marcello Isidori
Se un appunto si può fare a questo testo di Davide Monti, ingegnere pentito ma anche poeta e drammaturgo, è la tendenza alla prolissità e qualche caduta nel linguaggio retorico o didascalico. Ma la forza del testo, a mio parere, è indubbia. La base è il triangolo, il banalissimo triangolo tra marito, moglie e l’amante di lei. Archetipo di infiniti lavori per lo spettacolo, qui il triangolo da’ lo spunto ad una storia per nulla banale e dall’esito inatteso. Una storia che definirei solida e densa di significato. La solidità nasce prima di tutto da una scelta strutturale di fondo: seguire e compenetrare le storie dei tre protagonisti. Nessun giudizio dell’autore, nessuna presa di posizione. Non ci sono buoni o cattivi. Solo tre personaggi con la loro vicenda, la loro azione, i loro argomenti e, soprattutto, i loro sogni. In secondo luogo da un buon lavoro sui protagonisti, che appaiono vivi e credibili. In terzo luogo da un’indicazione per la messa in scena che riguarda la scenografia e taluni movimenti degli attori. La separazione della scena in tre settori è infatti essenziale e tematica. Le relazioni tra i personaggi sono filtrate da una separazione fisica rappresentata dai “muri” in scena. Ognuno si muove “nel proporio settore” e parla, grida, minaccia da lì verso il personaggio dell’altro settore. Al di là della immediata metafora di questa separazione, citata ed esemplificata anche nel titolo del dramma, a me sembra che l’esistenza di questi settori dica anche un'altra cosa, forse ancora più importante. Che le tre storie sono certamente anche il frutto di re-azioni alle azioni degli altri, ma che ognuno va preso a se’, come un cammino unico, una “monade” a parte. Che ciascuno di noi è comunque solo con se’ stesso e con le proprie paure, fobie e prospettive. E poco importa che a scatenare la progressione della fabula sia la storia d’amore tra Enrica ed Andrea, meglio ancora il bambino atteso da Enrica e che nascerà a chiusura della pièce. Quello che conta maggiormente è lo sviluppo e l’evoluzione psicologica dei tre protagonisti, che il lettore/spettatore non può non seguire con co-mmozione e partecipazione. E’ questa triplice vicenda che crea la vera suspense e che approderà ad esiti in parte sorprendenti. Mentre ad avvio del dramma quella che prevale è comunque una dinamica di relazioni ed interazioni tra i protagonisti, con lo sviluppo narrativo questa dinamica andrà dissolvendosi nella solitudine senza sbocchi. E pur sembrando tale, neanche la sorte di Enrica rappresenta un’eccezione a questo esito complessivo, perché neanche lei troverà appigli in uno degli altri due personaggi, ma un sollievo, carico di speranza in verità, nel nuovo rapporto con la sua creatura appena data alla luce.
Per amarti meglio di Daniele Timpano
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Per amarti meglio scritta nel 2000 e finalista al Napoli drammaturgia in festival 2001 è tuttora inedito.
Attenzione: Per argomento e linguaggio il testo è adatto solo ad un pubblico adulto.
Di cosa parla
Cappuccetto Rosso, il Lupo e una puttana si incontrano nel bosco. La fiaba originale non è che un pretesto, qui la storia è un'altra ed è un ridacchiante e irriverente carosello di macerie, una improponibile storia di squallore, candore ed amore ma -soprattutto- di altro.
Nota dell'autore
Non di "adattamento" si tratta ma di recupero e tradimento. Inutile negare (lo si intuisce già dal titolo) che il punto di partenza è la fiaba di Cappuccetto Rosso ma l'intento è stato sin dall'inizio quello di allontanarmene per dare vita ad una creazione autonoma, e pur tuttavia impregnata fin nella carne e nell'osso della potenza archetipica dell'originale. Esigenza fondamentale è stata da subito quella di strappare la fiaba ai bambini, o meglio al processo di edulcorazione progressiva di cui è stata vittima nei secoli. Cappuccetto Rosso, dunque, ed un Lupo dissociato, punto e basta. Una prostituta schizofrenica quanto stregonesca chiude il novero dei personaggi, assumendo sulla sua pelle tutto il peso dei personaggi assenti (mamma, nonna e cacciatore). Il Lupo e la puttana sono i giocatori e Cappuccetto il giocattolino. L'uno gioca in buona e l'altra in malafede. Cappuccetto Rosso non gioca mai; entra in scena che è il ritratto della salute, dell'entusiasmo, della fantasia, piena di voglia di giocare: verrà distrutta piano piano. La società come integrazione (puttana) e la società come disadattamento (Lupo) distruggono un fiorellino (Cappuccetto) che ancora non ha superato la soglia dell'età adulta: né integrato né disadattato. Se non morisse sarebbe costretto a scegliere tra integrazione e alienazione: Cappuccetto Rosso muore sulla soglia per non oltrepassarla.
D. Timpano
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Una nota critica
di Marcello Isidori
La scelta di raccontare una storia così raccapricciante ed esplicita su temi talmente delicati in una pièce teatrale, cioè metaforica e semiologica per definizione, pone un problema cruciale: la ricerca di una forma adeguata. A mio parere Daniele Timpano ha risolto brillantemente questo problema: una fiaba. Anzi, la fiaba di Cappuccetto rosso, quella che i nostri bambini oggi possono leggere solo censurata, privata degli aspetti più violenti che ne facevano, ai tempi nostri, una favola sanguinaria. Oggi il lupo non mangia più la nonna ed il cacciatore diventa un taglialegna che non squarta più il lupo per salvare la bambina. Come in una favola tutto è diretto e chiaro, più volte spiegato e anche ribadito dagli stessi personaggi (come il tormentone del lupo “in cerca di puttane”). E’ chiara la volontà della bambina di crescere, di fare esperienza, di “vedere la città”, con il suo bottino di vestiti “da grande” che appartenevano alla mamma che non la capisce. Sono chiare le intenzioni della puttana e del suo alterego, o parte maschile Crampo. E’ chiara la figura del lupo, qui trasposto in uno psicolabile con gravi turbe che farà strazio della bambina pur amandola. E’ tutto chiaro nelle dettagliate didascalie che sembrano spiegare a dei bambini quello che sta succedendo. Il bello è che all’interno della fiaba sono stati creati dei personaggi drammaturgicamente interessanti come la puttana e la sua appendice maschile, “bambolottino” dotato di parola ma non di autonomia, in quanto le sue battute non sono altro che una prosecuzione di quelle della sua “padrona”. Quello di Cappuccetto, di cui ho già in parte detto prima e che nel suo racconto introduttivo mostra l’iniziale sconfinata fantasia del bambino per passare gradualmente, e “facendo sul serio”, alla consapevolezza di avere delle esigenze da adolescente che la mamma non vuol capire, pur continuando a sgranocchiare biscotti. Ma il personaggio più bello, di una tragicità toccante, è quello del lupo, dettagliato con particolari originali e azzeccati e che rappresenta degnamente il senso più profondo dell’intera pièce. Viene quasi da sorridere, come durante una fiaba, finchè non ci si ferma a pensare che nella realtà queste cose succedono davvero: “e meno male che capitano sempre agli altri”...
Alex M. di Mauro Maggioni e Claudio Tomati
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Alex M premio speciale della giuria al Riccione Teatro 1997 è stato scritto, in coppia a Mauro Maggioni, da Claudio Tomati, autore scomparso nello scorso dicembre per le conseguenze di una leucemia a soli 41 anni. Tomati, che per un decennio ha scritto in team con Maggioni, ci ha lasciato una raccolta di testi, spesso riconosciuti nei più significativi premi nazionali, in cui la sensibilità alle tematiche civili è riuscita a indirizzarsi con rigore sulle tracce di un’etica di matrice laica, a tratti irrobustita da un’ironia cruda e personalissima. Lunedì 2 maggio, alle ore 21:30, presso il Teatro Guanella di Milano, gli amici ed i colleghi di Claudio (Eugenio Allegri Tommaso Amadio Sonia Antinori Maria Ariis Massimo Bavastro Massimo Bologna Fausto Caroli Toni Caroppi Veronica Cruciani Marco Filatori Giovanni Franzoni Giusy Frallonardo Marco Fubini Aram Kian Matteo Lanfranchi Mauro Maggioni Lucia Mascino Mario Nuzzo Francesca Pavoni Lorenzo Piccolo Fausto Russo Alesi Alessandro Sampaoli Valeria Talenti Antonio Tarantino Filippo Timi Barbara Valli e l'intervento di Franco Quadri) lo ricorderanno con una serata che si articolerà attraverso tre lavori, tutti scritti in coppia con Maggioni: Skins-Assalto al Paradiso, Alex M ed E la gente guardava stupita.
Il Premio speciale della giuria Riccione Teatro 1997
"Specialisti in vite immaginarie di giovani uomini illustri, Maggioni e Tomati, dopo il bel lavoro su Marlowe, mettono in scena Alessandro Magno in versione aggiornata, facendo dell’ambizioso conquistatore Macedone un capobanda on the road con la sua macchina nera e i suoi boys, in giro per discoteche, in un bagno di degrado metropolitano, sesso, droga e rock’n‘roll, non sdegnando magnetismi che dal fumetto conducono al pulp, fuori dal tempo ma molto nostro in un ritratto aureolato dal Sole Nero dell’autodistruzione. Con un narratore che ne regge i fili in un esperanto di lingue, dialetti e luoghi comuni da sfigati e una forte carica d’energia vitale."
Di cosa parla
La parabola di Alessandro Magno è riversata con coerenza e visionarietà in un ambiente da periferia urbana, dove un gruppo di ragazzi, trascinati dalla frenesia di novità di un fantomatico Alex M, sotto i cui tratti si intravede l'Alex inventato da A.Burgess per il suo "Clockwork Orange", si dedica a un viaggio di conquista le cui tappe coincidono con le squallide ambientazioni di un nichilistico romanzo di formazione contemporaneo. L'autostrada, il parcheggio, la discoteca, diventano quindi, come in un fumetto, le stazioni drammatiche di un mito di oggi, con un effetto di schiacciamento in cui passato, presente e futuro, mito, leggenda, quotidiano, alto e basso colano nella medesima forma, forgiando la mirabolante lingua di una Babilonia da III millennio.