Il dramma del mese
Once I was di Francesco Meoni
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Due musicisti americani di culto, padre e figlio: il primo protagonista – a modo suo – della scena musicale degli anni ’60, il secondo ai vertici della fama un trentennio dopo. Due anime accomunate non solo dallo stesso sangue, ma dalla stessa prematura sorte, e delle quali si rivivono i passaggi salienti di un tragitto biografico che giunge sino a dimensioni più pure quali sono quelle del Cuore e della Fantasia.
ONCE I WAS è una canzone di Tim Buckley piena di ricordi, esattamente come il racconto teatrale che qui presento. Ed esprime tutta la nostalgia, l’impotenza e la suggestione di chi una volta – in un qualche modo – è stato sia Tim che anche Jeff Buckley: quasi che questi, cioè, fossero le facce contrapposte di uno stesso long playing.
Desideravo indagare il rapporto Padre-Figlio, per ciò che era stata la mia vita familiare: volevo fare luce su possibili dinamiche, vuoti, mancanze, sensi di colpa e ragioni. “Ti sto chiamando...” il verso che dà il titolo alla canzone CALLING YOU fin da subito diviene il leitmotiv intimo della drammaturgia, una sorta di richiamo vivente oltre l’oggettività delle cose e degli eventi. Proprio come nel destino dei Buckley: ossia un padre e un figlio segnati dall’Inevitabile situato al di là di loro stessi, i quali – uniti e divisi dalla musica – si sono inseguiti sfiorandosi appena, mentre la vita disegnava per essi cerchi concentrici, spirali coincidenti di estreme fatalità. Una storia di maledetta dolcezza e ineluttabilità.
Nello scrivere questa pièce, ho seguito altresì un desiderio emotivo per immaginare possibilità alternative all’effettiva realtà dei fatti: ovvero una riconciliazione postuma, un confronto tra due uomini adulti, la gioia di un’impossibile Jam Session insieme, la necessità di riparare ad una mancanza. Questa ipotesi toccante è il principio emozionale del mio sogno; e nella rarefazione di questo viaggio, la musica che risuona idealmente tra le righe e le parole, non è la mera riproposizione delle Hit dei Buckley per via testuale: bensì una confluenza ininterrotta di note, parole, sentimenti ed emozioni. Un unico linguaggio in cui – oltre al testo – musica e canzoni scaturiscono sempre dalla necessità di dire, dall’urgenza di spiegare, dalla solitudine o dall’incomprensione: trama emotiva di un unico disegno. Un disegno solo apparentemente incompiuto.
Francesco Meoni
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La messinscena di ONCE I WAS – OLTRE LA STORIA DI TIM E JEFF BUCKLEY ha debuttato al Teatro Spazio Uno di Roma, in vicolo Panieri 3, telefono 06 45540551, il 9 dicembre 2014 (repliche sino al 14). Diretta e interpretata dallo stesso Meoni, si avvale del fondamentale accompagnamento dal vivo dei musicisti Vincenzo Marti (voce e chitarra), Lorenzo Soriano (tromba e flicorno), Danilo Valentini (chitarra), Teodoro Pizzolante (basso), Rocco Teora (batteria e percussioni). Assistente alla regia, Edyta Scibior; scenografia videografica, Chiara Tommasi e Massimo Bevacqua; produzione, Compagnia Nuovo Teatro.
Francesco Meoni (Roma, 1964). Attore e doppiatore, fa il suo esordio in teatro nel MALATO IMMAGINARIO di Molière secondo Turi Ferro (1991, produzione Plexus T e Teatro Stabile di Catania). Tra i tanti registi con cui ha in seguito lavorato, si ricordano Pierpaolo Sepe, Mario Scaccia, Krzystof Zanussi, Gabriele Lavia, Valerio Binasco e Ugo Chiti. Con la regia di quest’ultimo, ha interpretato con vivo successo il Visconte Morello nella fortunata e lunga tournée di MARGARITA E IL GALLO, rappresentazione del testo omonimo di Edoardo Erba, con protagonista Maria Amelia Monti. In ambito cinematografico, invece, ha recitato nei film HOTEL MEINA di Carlo Lizzani (2007), LA VITA, PER UN’ALTRA VOLTA di Domenico Astuti (1999) e R.D.F. RUMORI DI FONDO di Claudio Camarca (1996). Infine, per la TV, ha preso parte a note fiction e produzioni quali UN CUORE MATTO, TUTTI PAZZI PER AMORE, I CESARONI, DISTRETTO DI POLIZIA, IL COMMISSARIO ROCCA, CASA VIANELLO e molte altre. Alquanto attivo nella sfera civile e sociale, ha contribuito a serate ed eventi per Medici Senza Frontiere e Amnesty International, mentre è membro del Gruppo Teatro Civile. Il suo sito internet è www.francescomeoni.it.
A cura di Damiano Pignedoli
La deriva di Maurizio Cardillo
- Scritto da Damiano Pignedoli
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C’è un attore. Nel ruolo della sua vita, il ruolo per eccellenza. E c’è il panico. Da palcoscenico. Ci sono i pensieri segreti dell’attore. C’è un regista geniale, misterioso e dispotico, con il quale ingaggiare una lotta funesta, destinata al massacro. C’è un Amleto magistrale che va in fumo. C’è un medico che stava assistendo allo spettacolo e ora è nel camerino dell’attore. L’attore ha interrotto la replica. Sta urlando, piangendo e ridendo. Vuole la sua dose di benzodiazepine. C’è un fantasma, il fantasma del padre. Un padre paradossale, affettuoso e violento nello stesso tempo. E c’è la frase infinita, il rovello dell’attore che racconta a se stesso la sua storia, la sua deriva nel panico. L’attore è solo in scena, ma la scena è affollata di presenze. Voci, sussurri, ombre, fantasmi, riflessi. Finché, una sera, i fantasmi hanno la meglio sull’attore. Inizia lo spettacolo. Amleto entrerà in scena tra poco, pochissimo. Ma Amleto non c’è, è scappato, si è nascosto, è sparito.
LA DERIVA nasce da una mia ricerca sui modi teatrali del soliloquio, o Stream of Consciousness. Sono da sempre affascinato dal potere ipnotico della parola, dalle storie raccontate per frammenti, dal tempo circolare del racconto che continuamente torna su se stesso. Amo la letteratura a teatro. Amo esattamente ciò che spesso ho sentito citare come un “difetto” della scena, la letterarietà. Ho spesso interpretato e creato opere teatrali ispirate da romanzi, e ho sempre sottolineato l’origine letteraria dei miei lavori. Detesto gli adattamenti per il teatro. Non amo l’attore che si fa narratore. Preferisco l’attore che diventa egli stesso Letteratura. La mia coscienza di attore è fortemente influenzata dagli autori che amo: Thomas Bernhard, Elias Canetti, Robert Walser, Giuseppe Berto.
A quest’ultimo è dedicato LA DERIVA.
Per ciò che riguarda i contenuti del mio testo, mi sono interrogato sul significato di un’esperienza comune a molti attori, la zona grigia dell’incidente scenico, che va dal vuoto di memoria al nulla totale, al panico. Di Stage Fright hanno sofferto e soffrono nomi illustrissimi dello spettacolo. LA DERIVA nasce dal sospetto che l’esperienza terrificante del Panico provenga da una sorta di malìa che il Tutto – come nell’etimo della parola – può esercitare su un attore veramente ispirato. Tra lo stato di grazia e il dissolversi nel tutto, tra il miracolo dell’arte e il panico, esiste forse soltanto un sottile diaframma. LA DERIVA però parla anche del padre. Il panico è non a caso radicato in quel punto dolente del nostro oggi che è il rapporto con il Padre. La scomparsa del Padre, come figura normativa, dà luogo al suo riapparire come fantasma. Un fantasma che, nel mio lavoro, chiede di essere lasciato in pace, di non essere più disturbato dai continui pensamenti e ripensamenti del figlio, dalle sue invettive e nostalgie.
Maurizio Cardillo
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«Straordinario testo» – come ha scritto Giuseppe Liotta su “Hystrio”, n. 1, 2014 – «un percorso di narrazione fatto di continue interferenze psicologiche, di memoria, di fatti realmente accaduti, dettati da una coscienza febbrile, inappagata, rabbiosa e vendicativa, ma che si ferma un attimo prima di raggiungere il punto di non ritorno». Con la regia di Elena Bucci e dello stesso autore, unico interprete, è andato in scena per la prima volta a Bologna il 4 dicembre 2013, all’Arena del Sole - Nuova Scena - Teatro Stabile di Bologna, che lo ha prodotto (www.arenadelsole.it).
Maurizio Cardillo — Sono nato a Messina nel 1960. Tra il 1981 e il 1983 ho frequentato la Scuola di Teatro di Bologna, avendo come insegnanti – tra gli altri – Marco Cavicchioli, il fantastico Francesco Macedonio e Alessandra Galante Garrone. Con Massimo Cattaruzza, mio compagno di corso, formai un duo comico – Cardillo e Cattaruzza – con il quale, nel corso degli anni ’80, partecipai a numerosi varietà televisivi (tra tutti, il cult “Lupo Solitario”) e presi parte alla (a quel tempo) vivissima nuova scena comica italiana. Con la stessa formazione, alla fine degli anni ’80, iniziai il mio percorso di autore-attore, con spettacoli prodotti – tra gli altri – dal Festival di Santarcangelo di Romagna e Inteatro di Polverigi. Allo stesso periodo risale l’inizio della mia collaborazione con l’autore Mario Giorgi. Finita l’esperienza del Duo Cardillo e Cattaruzza ho lavorato come attore, negli anni ’90 e agli inizi del 2000, con il Teatro dell’Elfo di Milano, Drama Teatri di Modena, il Teatro Stabile di Bolzano, Renato Carpentieri, i bolognesi Teatro delle Moline e Cooperativa Nuova Scena; venendo diretto da registi quali Elio De Capitani, Gigi Dall’Aglio, Marco Bernardi, Luigi Gozzi (con il quale mi sono laureato al Dams di Bologna nel 1996) e Nanni Garella. Nel 2007 sono stato il protagonista maschile, al fianco di Francesca Mazza, del fortunato IL RITORNO AL DESERTO: messinscena di Andrea Adriatico dell’omonima pièce di Bernard-Marie Koltès, prodotta dalla compagine felsinea Teatri di Vita. Allo stesso anno risale l’inizio della mia stabile collaborazione, come attore, con la compagnia Le Belle Bandiere di Elena Bucci e Marco Sgrosso, miei antichi compagni della Scuola di Teatro di Bologna. Con loro ho partecipato a spettacoli prodotti dal CTB - Centro Teatrale Bresciano, collaborando alla ricerca della compagnia su una rivisitazione al contempo rispettosa e innovativa dei classici teatrali. Nel 2006, con Filippo Pagotto, ho fondato a Bologna la compagnia Cardillo/Pagotto: lo spettacolo d’esordio, A SPASSO (tratto da LA PASSEGGIATA di Robert Walser), vince il Premio dello Spettatore all’interno della stagione artistica promossa da Teatri di Vita; mentre nel 2011 inizia la collaborazione con il locale Teatro Stabile per la produzione di tre spettacoli – IL MALE OSCURO 1 e 2 (da Giuseppe Berto) e LA DERIVA, tutti con la co-regia di Elena Bucci – ottenendo importanti riconoscimenti di pubblico e critica. Nel gennaio 2015, debutterà la nuova produzione della compagnia Cardillo/Pagotto, FIOR DI NULLA. CABARET FILOSOFICO, al Teatro delle Moline di Bologna e sempre con la collaborazione del Teatro Stabile della stessa città.
Per notizie, materiali e aggiornamenti sulla mia attività, si può visitare il sito internet http://mauriziocardillo.blogspot.it/.
A cura di Damiano Pignedoli
Biografia della peste di Maniaci D'Amore
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Quando facemmo notare ai nostri genitori che l’accostamento dei nostri cognomi formava un’espressione di senso compiuto, e che sarebbe stato quello dunque il nome della nostra compagnia teatrale, le loro profonde remore – di gente di provincia, su un mestiere che non esiste – per un attimo sembrarono sciogliersi.
Più che un gruppo di lavoro incarnavamo un destino? Così dicevano tutti.
Eppure lavorare insieme non è mai stato per noi un atto fluido e naturale. Niente di così compromettente come la scrittura, in effetti, può essere spartito con leggerezza. Siamo noi, infatti, l’implacabile giudice l’uno dell’altra. Al centro per noi c’è sempre stato, e c’è ancora, non la semplicità di un sodalizio spensierato ma una sorta di intimo imperativo categorico, che ci spinge ad affondare con caparbietà nella nostra indefinibile relazione creativa, forti delle nostre differenze e delle nostre affinità.
BIOGRAFIA DELLA PESTE è il testo al quale siamo più affezionati perché parla di un tema caro a entrambi: la vita di provincia, con i suoi stigmi e i suoi impliciti divieti. Parla cioè dei nostri luoghi di origine, ovvero di ciò di cui in fondo continueremo a parlare per sempre. “Si racconta sempre la stessa storia”, diceva qualcuno.
La trama è questa: a Duecampane “morire non è carino, non si fa”. Perfino perdere la vita in un incidente stradale può essere bollato come un atto vergognoso. Chiunque versa in questa imbarazzante condizione, dunque, preferisce far finta di niente, restare al suo posto. Pian piano così il paese si è popolato di morti. Un ragazzo appena defunto, però, un giorno si ribella e inizia a sognare di andare via. Per sempre. Al-di-là dei confini del paese…
Attraverso questa favola psicotica e magica parliamo della nostra adolescenza. Parliamo della tabaccaia e del panettiere, della maestra e del parroco, delle mamme despoti e dei padri intermittenti, dei mille occhi che ti scrutano e del lamento come tappeto sonoro della vita. E poi di quell’angusta strada comunale illuminata da neon a basso costo, glaciali… Veniamo da due posti diversi ma la strada è la stessa.
Con l’incontro finale dei due protagonisti tentiamo di indicare anche, però, un’alternativa di salvezza. Partendo da qualcosa che ci riguarda intimamente. La relazione. La possibilità di una creazione comune. Non è una sfida semplice. Si tratta della lenta edificazione di un orizzonte d’azione diverso, di una strada diversa. Una strada con luci nuove, più forti, più calde.
“Si dice che la felicità è dietro l’angolo”, mormora la ragazza nel finale.
“Sì, ma l'angolo è lontano” è la risposta.
Francesco d’Amore e Luciana Maniaci – compagnia Maniaci d’Amore
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Andata in scena per la prima volta al Teatro Libero di Milano il 21 gennaio 2013 e interpretata dagli stessi autori (diretti da Roberto Tarasco e prodotti da Nidodiragno), la pièce indiziata ha vinto il premio nazionale di drammaturgia contemporanea Il Centro del Discorso 2011: “per l’intuizione allegorica di fondo e le soluzioni linguistiche fresche e scanzonate, capaci di restituire un’amarezza imprecisata ma incisiva. Partendo da una intuizione di grande potenzialità offre belle invenzioni e molti spunti divertenti in equilibrio sul difficile confine, poco frequente in genere nella drammaturgia italiana, tra comicità, ironia drammatica e surrealismo”. Ancora nel 2013, l’opera – oltre a entrare nella selezione del Premio Scenario – diventa pure un film diretto da Giuseppe Bisceglie e Andrea Tomaselli.
I Maniaci d’Amore sono Luciana Maniaci (29 anni, nata a Messina, psicologa) e Francesco d’Amore (31, Bari, dottore in Lettere). Si conoscono frequentando il Master in Tecniche della Narrazione della Scuola Holden di Torino – diretta da Alessandro Baricco – dove si formano con Gino Ventriglia, Giorgio Vasta, Nanni Moretti, Laura Curino, Chiara Lagani (Fanny&Alexander), Werner Herzog, Carlo Lucarelli e altri. A queste esperienze, si sommano in seguito gli incontri con Gabriele Vacis, Barbara Bonriposi e Arturo Cirillo. Il loro primo spettacolo, IL NOSTRO AMORE SCHIFO, nasce nel 2009 attraverso una coproduzione tra Nidodiragno, il Circolo dei Lettori di Torino e il Teatro Regionale Alessandrino. Vero piccolo cult, questo lavoro è tuttora in tournée e ha già toccato novanta piazze italiane, tra cui Il Teatro Valle Bene Comune di Roma e il festival Primavera dei Teatri di Castrovillari. Nello stesso anno, insieme a Michele Di Mauro e Anita Caprioli, portano in scena un testo teatrale dei fratelli Ethan e Joel Coen intitolato QUASI UNA SERATA, che debutta al Teatro Carignano di Torino con la regia di Marco Ponti e la coproduzione del locale Teatro Stabile; curano inoltre i testi di AMLETO IN PALESTINA, da cui uno spettacolo di Gabriele Vacis prodotto dall’ETI con il Teatro Regionale Alessandrino, che esordisce al Teatro Valle di Roma. Ai successi della menzionata BIOGRAFIA DELLA PESTE, s’aggiungono poi l’arrivo in finale del soggetto cinematografico OMEGA – da loro scritto con Fabio Bonfanti – al Premio Solinas “Idee per il Cinema” 2013, e la vittoria del premio “Scenari pagani” all’omonimo festival di teatro e musica nel 2014; anno in cui scrivono e interpretano MORSI A VUOTO, spettacolo per la regia di Filippo Renda e coprodotto dai festival delle Colline Torinesi e di Castel dei Mondi di Andria. Attualmente, I Maniaci d’Amore sono impegnati come docenti e formatori di drammaturghi e attori in vari progetti di laboratorio. Nel 2015, diversamente, guideranno gli allievi del College Acting della Scuola Holden nel lavoro di drammaturgia collettiva “Cantiere Kafka”. Di prossima pubblicazione infine, per i tipi di Editoria & Spettacolo, un volume a cura di Dario Tomasello contenente tutto il teatro di questo giovane e irrequieto duo; mentre, altre notizie e materiali sulla loro attività si trovano sul sito internet www.maniacidamore.it.
A cura di Damiano Pignedoli
Il memorioso di Bigatto Speziani Nissim
- Scritto da Damiano Pignedoli
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Il testo teatrale che presentiamo trae corpo e anima da uno straordinario novero di persone d’eccezione, realmente esistite. Le quali, prima ancora di diventare fonte d’ispirazione per una drammaturgia e una messinscena – interpretata da Massimiliano Speziani, per la regia di Paola Bigatto, prodotta da Gariwo-Comitato Foresta dei Giusti nel 2010 – sono state raccontate con dovizia e attenzione da Gabriele Nissim in un paio di pubblicazioni: IL TRIBUNALE DEL BENE e LA BONTÀ INSENSATA (Mondadori, Milano 2003 e 2011). Opere intese a non rassicurare circa l’intrinseca natura del Bene, bensì volte a metterne in luce i risvolti di ambiguità e quindi l’impossibilità di darne una definizione univoca, a senso unico.
Il XX Secolo – trascorso da non molto – è stato tragicamente segnato da orrori quali guerre, totalitarismi, genocidi, deportazioni, intolleranze e crimini d’ogni genìa. Tra queste tragedie s’evidenziano soprattutto quelle legata alla Shoah e all’antisemitismo repressivo e micidiale. Sicché, è fondamentale ricordare tali incubi del passato affinché non cadano nel diluvio di un qualsivoglia oblio, tenendo altresì presente il tremendo potenziale umano di potere compiere il male in qualunque momento.
Ma c’è anche una Memoria del Bene ricevuto di cui è importante parlare, e che si integra costruttivamente con tale necessità primaria di non dimenticare. Ed essa mostra la sua grazia e urgenza quando fa scoprire come il Bene, laddove sembrava impossibile che potesse apparire, invece si è manifestato. Piccola fiamma nel buio, luce flebile nell’oscurità circostante: eppure che dimostra – tramite la sua sempiterna presenza – la possibilità continua del Bene di riuscire a esprimersi e a vivere. Anche nelle condizioni più avverse. Pure in quelle in cui esso, se non è riuscito a rovesciare la Storia, è stato però in grado di salvare i destini di singole persone: scampandole dalla morte e dalla perdita di fiducia negli esseri umani. Tutto ciò significa che questi ultimi, peraltro, hanno sempre a disposizione la scelta di dire un Sì oppure un No: da cui ne deriva di conseguenza una precisa responsabilità morale per chi ha voluto scegliere il male, rinunciando alle proprie opzioni decisionali aperte a delle possibilità alternative.
E così come il male non viene compiuto necessariamente da persone malvagie, perverse o sadiche, così il Bene non è compiuto solo da santi, eroi o persone perfette. Il più celebre esempio di uomo Giusto, Oskar Schindler – un faccendiere dominato da ogni sorta di vizio, ma che ha salvato più di mille ebrei – ne è il più lampante esempio.
Ecco, dunque: l’azione dei Giusti. Centrale, per il testo IL MEMORIOSO, è soffermarsi su un aspetto inerente a questi soggetti esemplari e sulla loro condotta esposta in continuazione all’affermazione di ideologie totalitarie. L’esempio dei Giusti, cioè, ci ricorda – per citare Vaclav Havel – che “il potere su di sé, per quanto limitato dal carattere, dall’origine, dal grado di cultura e di autocoscienza di ciascuno, è l’unica cosa che anche il più impotente di noi possiede, ed è, al tempo stesso, l’unica cosa che nessuno potrà mai portarci via”.
Una nota finale su una figura di riferimento per la creazione del monologo indiziato: Moshe Bejski, per anni presidente della Commissione dei Giusti presso il Memoriale di Yad Vashem a Gerusalemme. L’obiettivo di questo paradossale tribunale consisteva nel rintracciare tutti quegli uomini che avevano rischiato la vita per aiutare gli ebrei durante la persecuzione nazista, e di ricordarli per sempre attraverso il radicamento di un albero nel giardino del Memoriale stesso. Similmente a Bejski, il protagonista della pièce in questione ha l’appassionato bisogno di ricordare il Bene, la medesima mania compilatoria, un identico desiderio di esaustività e una scrivania perennemente in disordine.
Moshe Bejski – uno dei nomi della celebre lista di Schindler – si batté con pazienza, dedizione e caparbietà, per raccogliere e ricordare i nomi di tali Giusti, sognando un’enciclopedia che ne raccogliesse le storie e li rendesse popolari e amati dai giovani come le rock star e i divi del cinema. Gabriele Nissim ne ha raccontato la storia nel libro IL TRIBUNALE DEL BENE, mettendone in risalto l’appassionato e incessante lavoro e il suo continuo interrogarsi sulle caratteristiche che fanno di un’azione, l’azione di un uomo giusto. Contestualmente Paola Bigatto, da anni impegnata sull’opera di Hannah Arendt (colei che, assistendo ai processi contro i criminali nazisti della II Guerra Mondiale, parlò in un famoso libro di “banalità del male” ovvero della comoda obbedienza a un’ideologia, ancorché disumana e feroce), ha quindi proposto un lavoro a quattro mani su tali ricerche a Massimiliano Speziani: condividendo con lui il pensiero sul “Fare Teatrale” come relazione e rapporto con l’Altro da Sé, unitamente alla volontà di prendere la parola nella vita civile. Di qui, l’opera di drammaturgia – sentita, commovente e necessaria – che state per leggere.
Nell'immagine in alto, da sinistra: Gabriele Nissim, Paola Bigatto e Massimiliano Speziani.
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Paola Bigatto si è diplomata alla Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano e ha debuttato come attrice con Giancarlo Cobelli. Ha lavorato con i più svariati registi nelle più svariate situazioni (dal Teatro delle Albe al Teatro della Tosse, da Andrea Taddei a Carmelo Rifici e molti altri). Ma la sua attività è legata particolarmente a due notevoli personalità: Luca Ronconi, che l’ha diretta in una lunga serie di spettacoli, chiamandola poi ad affiancarlo come didatta nella Scuola del Piccolo Teatro di Milano; e Renata Molinari, della quale ha seguito i laboratori di drammaturgia divenendo in seguito sua collaboratrice per diversi eventi, spettacoli e progetti didattici, nonché per la scrittura del libro L’ATTORE CIVILE (Titivillus, Corrazzano - Pisa 2011). Nel 2005, esordisce nella regia con LE MORBINOSE di Carlo Goldoni al Festival Teatrale di Borgio Verezzi. Insegna recitazione presso l’Accademia Teatrale Veneta di Venezia e l’Accademia Teatrale Nico Pepe di Udine. Da anni è in scena con la lezione-spettacolo LA BANALITÀ DEL MALE, monologo tratto dal testo omonimo di Hannah Arendt.
Massimiliano Speziani. Diplomato presso la Civica Scuola d’Arte Drammatica Paolo Grassi di Milano, ha lavorato con i maggiori registi italiani tra cui Giancarlo Cobelli, Luca Ronconi, Massimo Castri, Alfonso Santagata e Federico Tiezzi. Nel 1992 riceve il Premio Luca Coppola e Giancarlo Prati e, nel 1997, il Premio Ubu per l’interpretazione particolarmente singolare in PETITO STRENGE di Alfonso Santagata. Tra gli ultimi spettacoli interpretati: IL CUSTODE DELLE PARTENZE, scritto e prodotto con Renata M. Molinari (2006); HAPPY FAMILY®, scritto e diretto da Alessandro Genovesi (2007, produzione di Teatridithalia); LE NUVOLE di Aristofane, per la regia di Antonio Latella (2009, Teatro Stabile dell’Umbria); QUESTI AMATI ORRORI di Renato Gabrielli, di cui cura anche la regia, così come avviene per IL TIGLIO - RITRATTO DI FAMIGLIA SENZA MADRE di Tommaso Urselli (che ottiene il Premio Fersen 2013); NATHAN IL SAGGIO di Gottold Ephraim Lessing e GIULIO CESARE di William Shakespeare, entrambi diretti da Carmelo Rifici per il Piccolo Teatro di Milano (2011 e 2012). Nella stagione 2013-2014, impersona Brighella nel SERVITORE DI DUE PADRONI goldoniano, reinventato da Antonio Latella sulla drammaturgia di Ken Ponzio (produzione di ERT Emilia Romagna Teatro Fondazione, Teatro Stabile del Veneto e Teatro Metastasio di Prato), ed è regista di VOLO NOVE ZERO TRE - EMIL ZATOPEK, IL VIAGGIO DI UN ATLETA di Maddalena Mazzacut-Mis, produzione di ArteVOX e ASLICO - Teatro Sociale di Como. All’attività teatrale alterna quella di didatta, nonché di attore ed autore radiofonico.
Gabriele Nissim. Saggista e scrittore, è fondatore e presidente di Gariwo - La Foresta dei Giusti. Per Mondadori ha pubblicato: EBREI INVISIBILI (1995, con Gabriele Eschenazi); L’UOMO CHE FERMÒ HITLER (2001); IL TRIBUNALE DEL BENE (2003); UNA BAMBINA CONTRO STALIN (2007); LA BONTÀ INSENSATA e LA MEMORIA DEL BENE E L’EDUCAZIONE ALLA RESPONSABILITÀ PERSONALE (2013). È co-autore di STORIE DI UOMINI GIUSTI NEL GULAG (Bruno Mondadori, Milano 2004). Nel 1988 è stato nominato Cavaliere di Madara, la massima onorificenza culturale bulgara, per la scoperta della figura di Dimitar Peshev. Nel 2003 ha vinto il Premio Ilaria Alpi per il documentario IL GIUDICE DEI GIUSTI e ha ricevuto una menzione speciale dalla Regione Lombardia per l’impegno sul tema dei Giusti. Nello stesso anno, ha promosso a Milano la costruzione del Giardino dei Giusti di tutto il mondo e l’intitolazione del Parco Valsesia alle vittime del Gulag. A Levashovo, inoltre, ha inaugurato il memoriale per le mille vittime italiane del totalitarismo sovietico. Nel 2014 ha inaugurato il Giardino dei Giusti a Varsavia.
Gariwo – Comitato Foresta dei Giusti è un’associazione nata a Milano nel 2000 per iniziativa di Gabriele Nissim – ebreo – e Pietro Kuciukian – armeno – con l’intento di ricordare le figure esemplari di resistenza morale ai regimi totalitari nella storia del ‘900 in Europa e nel mondo, anche attraverso la creazione di Giardini dei Giusti ovunque. L’esperienza di Gariwo (sito ufficiale: www.gariwo.net) ha dimostrato inoltre l’importanza della comunicazione sul web nella diffusione delle informazioni sui Giusti. Il nuovo progetto europeo WeFor, con la costituzione di Giardini virtuali dei Giusti nel sito www.wefor.eu, coniuga queste due linee di intervento: facendo intervenire direttamente gli utenti, soprattutto i giovani e gli insegnanti con i loro studenti, nei Giardini virtuali con dediche e contributi.
A cura di Damiano Pignedoli