Il dramma del mese
Nel fango del Dio pallone di Giulio Baraldi e Alessandro Castellucci
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Nel fango del dio pallone la vera storia di Carlo Petrini, ex-centravanti di serie A, è tratto dall'omonimo best seller scritto da Carlo Petrini ed edito da Kaos edizioni. Lo spettacolo è prodotto da Macrò Maudit ed ha debutatto nel 2005 interpretato da Alessandro Castellucci con la regia di Giulio Baraldi. Ecco le prossime date dello spettacolo:
13-8 Schio (VI) Ex asilo Rossi
21-9 Carugate (MI)
14-10 Gussago (BS)
29-11 Milano Teatro Blu (Festa del Teatro della Provincia di Milano)
6-12 Mantova
21-2-07 Copparo (FE)
9-3-07 Monfalcone (GO)
Nessuna smentita, nessuna denuncia per diffamazione viene indirizzata a Petrini. Eppure in tantissimi hanno letto il suo libro. E’ perché Petrini ormai non conta più niente e il suo farneticare non interessa a nessuno? O perché le sue affermazioni – supportate da prove, testimoni, date e luoghi – non possono essere smentite?
Macrò Maudit cerca di raccontare una vicenda scottante, che ha come protagonista un ex-calciatore ma soprattutto un uomo forte e contraddittorio. Proseguendo il suo percorso artistico, dedicato alle figure contemporanee, perdenti e maledette.
Una storia sincera, coraggiosa, senza enfasi né eroi. Uno spettacolo di denuncia, senza moralismi, senza mezze allusioni, sul mondo del ‘dio pallone’. Una rappresentazione teatrale che, di sicuro, farà discutere.
Perché è la storia di un precursore del calcio dorato di oggi. Dedicata a tutti quelli che, come noi, amano il meraviglioso mondo dello sport. Quello vero. Dedicato soprattutto ai ragazzi. Quelli che cominciano.
Da Hystrio gennaio/marzo 2006
di Claudia Cannella
Splendori (pochi) e miserie (molte) del calcio che perseguita la nostra vita quotidiana. Insieme al ciclismo, con cui condivide il primato del gusto epico-popolare, è lo sport che più ha offerto spunti a tanta recente drammaturgia. Questa volta però non è pretesto o metafora per tratteggiare ampi spaccati storico-sociali, ma per raccontare, attraverso la storia di Carlo Petrini, "centravanti maledetto" degli anni '60 e '70, il lato oscuro del calcio italiano. Quello del doping, delle partite truccate e dei soldi in nero. Comincia con un uomo dalla barba lunga, trasandato , un ex calciatore, che forse ha conosciuto Carlo Petrini, o forse è proprio lui. In poco più di un'ora lo vediamo ringiovanire, invecchiare, entusiasmarsi, incanaglirsi, perdersi grazie alla duttilità travolgente di Alessandro Castellucci, capace di popolare la scena di personaggi noti e meno noti di quel mondo e di quell'epoca. Alle sue spalle una panchina coperta di tante maglie colorate quanti erano stati i prestigiosi club in cui Petrini aveva militato (Milan, Roma, Bologna, Genoa) e nell'aria le musiche di De Andrè, Radiohead e Jetro Thull, scarno ma efficace corredo scenografico e sonoro voluto dalla regia intelligentemente "invisibile" di Giulio Baraldi. Petrini-Castellucci ripercorre una vita intera, dalle oneste ambizioni giovanili, all'uso di sostanze illecite, dagli intoccabili colleghi blasonati agli eccessi fuori dal campo. Pagherà tutto e per tutti, subirà processi e squalifiche e, a quel punto, non avrà più paura di dire quel che nel calcio si fa ma non si deve far sapere, scriverà libri scottanti, come questo "Nel fango del dio pallone", che nessuno (guarda caso) si è mai preoccupato di smentire.
“Una recente indagine ha dimostrato che un adolescente su tre è disposto a fare uso di sostanze illecite pur di raggiungere il successo nel mondo del calcio. La cosa ancora più inquietante è che il 10% di loro si dichiara ‘pronto a morire per uso di queste sostanze’, pur di assomigliare al proprio idolo sportivo.”
(Carlo Petrini)
La storia:
Un ex-calciatore racconta. Uno che forse, in carriera, ha conosciuto da vicino Carlo Petrini. Ma chi era Carlo Petrini? Uno famoso, uno che giocava nel Milan del 1968; ai tempi di Prati, di Trapattoni, di Gianni Rivera. Uno che però hanno voluto cancellare dalla storia del calcio. Perché? In attività cominciò a sperimentare gli effetti di sostanze illegali dopanti. Una regola negli spogliatoi. Poi, negli anni settanta fu mediatore e artefice di diverse partite truccate. E nel marzo del 1980, tra numerosi responsabili, Petrini fu uno dei pochi a pagare per tutti. Ma quello che più spaventa il ‘dorato mondo del pallone’ è la figura, la presenza di Petrini oggi: un uomo che, pagate sportivamente e penalmente le sue colpe, colpito umanamente negli affetti più cari, non ha più paura di dire quello che nel calcio ‘si fa ma non si deve dire’.
Presentazione degli autori
Nel best seller ‘Nel fango del dio pallone’, autobiografia di Petrini, da cui siamo partiti, l’ex giocatore del Milan, ma anche della Roma, del Bologna, e del Genoa confessa tutto. Decine e decine di pareggi concordati, le partite vendute, gli eccessi fuori dal campo, il doping e gli espedienti per eludere i controlli e i soldi in nero. Una ricostruzione attenta e disincantata, a volte rabbiosa, di un uomo che ha vissuto nel calcio tutta la sua giovinezza. Che non ha paura di fare i nomi perché il calcio gli ha dato ma, soprattutto, gli ha tolto tutto.
Carlo Petrini Nato a Monticiano (Siena) nel 1948, Carlo Petrini è stato uno dei più noti calciatori degli anni Settanta. Dalle giovanili del Genoa, passò al Lecce (serie C, 1965-66), tornò al Genoa (serie B, 1966-68), quindi cominciò l’avventura professionistica ai vertici del calcio italiano come centravanti: al Milan di Nereo Rocco (1968-69), al Torino (1969-70), al Varese (1971-72), al Catanzaro (1972-74), alla Ternana (1974-75), alla Roma di Nils Liedholm (1975-76), al Verona (1976-77), al Cesena (1977-79), e approdò infine al Bologna (1979-80). Nella primavera del 1980 risultò coinvolto nello scandalo del calcio-scommesse: a Petrini venne inflitta una pesante squalifica che in pratica mise fine alla sua carriera.
Rosa la rossa di Sonia Antinori
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Rosa la rossa è stato commissionato dall'ATIR, Teatro del Buratto di Milano. Ha debuttato nel novembre 2003 al Teatro Verdi di Milano per la regia di Serena Sinigaglia. Con Maria Pila Perez Aspa, Beatrice Schiros, Marco Fubini. Scene di Maria Spazzi, luci Alessandro Verazzi, costumi Federica Ponissi, Fabio Chiesa.
Così la stampa:
“… a tentare la trasposizione scenica della avvincente personalità della Luxemburg ritroviamo l’ATIR con Rosa la Rossa alla seconda “puntata” di una trilogia dedicata alle “Biografide di uomini straordinari” (…) Sonia Antinori, autrice del testo, ha puntato alla fedeltà e alla completezza storica, arricchendo di dettagli e di riferimenti la vicenda privata e pubblica della Luxemburg e delle figure che le sono accanto.
Tecnicamente ineccepibile la regia di Serena Sinigaglia rende fluidi i continui cambi di scena e sistuazioni assimilandoli naturalmente nell’evolversi dello spettacolo (…) Da mettere in conto un’inevitabile scarto di credibilità rispetto ai personaggi da rappresentare, i giovani attori vi sopperiscono con energia, impegno e generosità riuscendo a coinvolgere e commuovere la platea.”
A. Ceravolo – La Prealpina, 18 novembre 2003
“Serena Sinigaglia – vale a dire una delle migliori promesse della nouvelle vague registica – porta avanti con entusiasmo e vigore contagiosi le sue biografie teatrali (dopo Che Guevara e Rosa Luxemburg seguirà Panagulis) che – afferma – le infondono coraggio in un’epoca scarsa di valori. Sono queste biografie, a vedere il successo dei suoi spettacoli, ardimentosi inviti ai giovani affinché sostituiscano ai poveri simulacri della società mediatica grandi figure che insegnino la speranza, il rifiuto del (dis)ordine costituito, l’utopia di cambiare il mondo. Allestire un racconto scenico su Rosa la Rossa era, dopo il tramonto (ma sarà definitivo?) del marxismo e del “sogno” sovietico trasformatosi in incubo orwelliano, una prova irta di difficoltà. Di un santino rivoluzionario non si sentiva sicuro bisogno, né di uno spettacolo epico-popolare-didattico alla Brecht. Al fuoco di una spinta ideale in cui la giovinezza ha la sua parte e di un salutare irrispetto per la retorica, Serena Sinigaglia (con Sonia Antinori, che ha scritto un solido decoupage biografico intersecando il pubblico e il privato) ci ha dato invece, di colei che a ragione è considerata la prima vera donna politica dell’Europa rivoluzionaria fra ‘800 e ‘900, una sorta di ballata popolare neomodernista, che a forza di sequenze incalzanti, di tableaux vivents quasi mai celebrativi, di vibranti intrecci fra le ragioni della mente e quelle del cuore, ottiene di farci appassionare al destino dell’ebrea polacca che fu in Germania l’anima della SPD, rivoluzionaria con Lenin, polemica con il centralismo bolscevico, animatrice di scioperi e pacifista, fondatrice del partito spartachista, assassinata dalla controrivoluzione nel ’19. In questo spettacolo di una narrativa incalzante, che non pretende di proporre dogmi ideologici, ma la passione per la giustizia e la libertà, tre ottimi attori – Maria Pilar, Rosa febbrile e tormentata, Beatrice Schiros e Marco Fubini, questi in diversi ruoli – rispondono molto bene alla ferma, incisiva, inventiva regia.”
Ugo Ronfani – Hystrio dicembre 2003
“Lo spazio di un teatro si qualifica per le sue scelte oltre che per il coraggio con cui le propone. Quest’anno il Teatro Verdi di Milano ha puntato su giovani drammaturghi conferendo al suo cartellone una spiccata particolarità. Certamente tra i giovani autori, Sonia Antinori vanta già dei successi, oltre che alcuni premi prestigiosi come il Riccione per Il sole dorme, il Candoni per Nel tempo insolito. Per Rosa la Rossa, messa in scena da Serena Sinigaglia, Antinori utilizza la biografia come elemento drammaturgico,adattando e, nello stesso tempo, sviluppandola l’idea del “teatro documento” che ebbe tanto successo nel 1968, quando teatri Stabili come quello di Genova oil Piccolo Teatro di Milano lo scelsero per alcune stagioni. Sonia Antinori, dopo essersi attentamente documentata ci dà un ritratto insolito di Rosa Luxemburg (1871-1919), facendone una donna dei giorni nostri, che sa utilizzare sia il candore sia l’impegno per raggiungere certi risultati politici. Sulla scena (…) Maria Pilar Perez Aspa si muove trascinado la gamba come se trascinasse il peso di un’oppressione che investe la società degli umili, degli sfruttati, di coloro per i quali pochi sono quelli pronti a buttarsi e a rischiare. Lei incarna Rosa la Rossa con una certa disinvoltura, la spoglia di ogni epicità, la libera del mito agiografico, e seguendo le indicazioni della Sinigaglia ne fa una donna difficile a sottomettersi, che utilizza la giovinezza, oltre che la dolcezza, per imporre le proprie idee. Lo spazio scenico è alquanto spoglio, sormontato da una pedana inclinata, dove basta un tavolino ed alcune sedie per indicare dei luoghi deputati differenti, mentre una grande stufa all’angolo del boccascena, si aggiunge per moltiplicare gli incontri con la moltitudine di personaggi interpretati, fregolianamente,da Beatrice Schiros e Marco Fubini. La qualità della scrittura di Sonia Antinori emerge grazie alla scelta di un parlato alquanto colloquiale, oltre che di un linguaggio che evita di cadere nella retorica ideologica, che si distingue per la capacità di sintetizzare la storia complessa di una figura di donna, diventata prototipo di tante sessantottine che hanno deciso di prendere parte alla vita sociale e politica della propria nazione, pagando di persona. Lo spettacolo è alquanto dinamico, ricco di piccole trovate, che, sul palcoscenico, diventano grandi; strutturato come una vera e propria via crucis, le cui stazioni corrispondono a quelle percorse da Rosa, dalla collaborazione con la SPD, al carcere, all’insegnamento, alla partecipazione alla vita dell’Internazionale, fino alla cattura e all’assassinio.
Il pubblico applaude e non nasconde la commozione.
Andrea Bisicchia – Primafila gennaio 2004
La storia:
Rosa Luxemburg, dirigente socialista, rivoluzionaria cosmopolita e battagliera, teorica rigorosa e antidogmatica, fu una delle protagoniste di un'Europa in fermento, costretta a pagare con la sua stessa vita l'estremismo delle sue scelte. Quest'opera rincorre il suo percorso biografico, nell'intento di rilanciarne la conoscenza e l'attualità del pensiero.
Rosa Luxemburg (1871-1819), nacque nella Polonia russa da una famiglia ebraica della media borghesia intellettuale. Dopo aver compiuto i suoi studi in Svizzera, si trasferì a Berlino, dove cominciò una collaborazione con la SPD, allora il più forte partito socialista d’Europa. Nel 1899 pubblicò uno dei suoi principali scritti Riforma sociale o rivoluzione? Nel 1905 scelse di partecipare attivamente ai moti della prima rivoluzione russa, tornando a Varsavia, dove fu catturata e imprigionata. Scarcerata grazie all’intervento del partito tedesco, trascorse un periodo in Finlandia, dove ebbe modo di collaborare con il gruppo degli esuli russi riuniti attorno a Lenin. Rientrata in Germania, accettò l’incarico di insegnamento presso la scuola del partito, continuando a partecipare intensamente alla vita dell’Internazionale. Arrestata più volte per propaganda antimilitarista pubblicò nel 1912 il suo libro più importante L’accumulazione del capitale. Nuovamente incarcerata allo scoppio della guerra mondiale, che aveva ostacolato con tutte le forze, non poté partecipare alla rivoluzione d’ottobre, di cui analizzò acutamente le sorti in alcuni scritti critici. Liberata alla conclusione della guerra, animò la riscossa della Lega Spartaco e fu fondatrice del Partito comunista tedesco. Catturata durante le azioni repressive del nuovo governo repubblicano, venne assassinata a Berlino, insieme a Karl Liebknecht il 15 gennaio 1919. Il suo corpo, occultato dalle guardie, fu ripescato nella Sprea nel mese di maggio.
Leo Jogisches (1867-1919), nacque a Vilnius, in Lituania, da un’agiata famiglia ebrea. Entrato giovanissimo nei circoli rivoluzionari della città, abbandonò il suo paese per sottrarsi alla leva militare. Rifugiatosi in Svizzera, vi conobbe Rosa Luxemburg, della quale fu compagno di vita e di lotta. Singolare figura di cospiratore, non esitò ad applicare i metodi dell’organizzazione clandestina che aveva appreso in Russia, alla Lega Spartaco. Alla morte di Rosa, fu Leo a ricostruire l’accaduto, denunciandolo sul giornale “Die rote Fahne”. Subito arrestato, venne eliminato in un’esecuzione sommaria.
Vera Zasulič (1851-1919), aderì a diciassette anni al populismo e fu arrestata giovanissima. Dopo aver compiuto un attentato contro il capo sella polizia di Pietroburgo nel 1878, venne processata e rilasciata ed emigrò in Svizzera. Tra i più stretti collaboratori di V.G.Plechanov, primo traduttore russo di Marx ed eminente figura della colonia russa in Svizzera, Vera ebbe un ruolo di rilievo nell’Internazionale e aderì in seguito al gruppo dei menscevichi combattendo aspramente i bolscevichi capeggiati da Lenin.
Karl Kautsky (1854-1938), esponente e ideologo della socialdemocrazia tedesca, cominciò a interessarsi al marxismo dopo l’incontro con Plechanov, Marx ed Engels. Nel 1882 si trasferì a Stoccarda come redattore della nuova rivista “Neue Zeit”, ma solo dopo il 1890, con l’abolizione delle leggi eccezionali di Bismarck contro la socialdemocrazia, poté affermarsi pienamente come maggiore teorico del partito. La sua autorità toccò il culmine al volgere del secolo, quando si pose a capo della campagna contro il “revisionismo” politico, ma presto fu messa in discussione sia da destra che da sinistra. Ciò lo spinse ad assumere un ruolo di difesa della cosiddetta ortodossia, provocando in Rosa Luxemburg una reazione tanto aspra, che mise fine alla loro decennale collaborazione.
Luise Ronsperger Kautsky (1864-1944), nacque a Vienna da una famiglia ebrea. Entrata giovanissima nelle file socialiste austriache, conobbe Karl e lo sposò. Quando Rosa arrivò a Berlino nel 1898, la casa dei Kautsky era uno dei ritrovi dei massimi dirigenti della socialdemocrazia tedesca. Stretta un’intensa amicizia con Rosa, Luise le rimase al fianco anche dopo la rottura tra lei e Karl, lasciandoci testimonianza della sua amicizia in un prezioso epistolario.
Mathilde Jacob (1873-1942?), segretaria e poi amica di Rosa, alla quale fu vicina soprattutto durante la detenzione negli anni di guerra. Dopo la sua morte, fu custode dei manoscritti di Rosa. Nel 1942 fu deportata a Theresienstadt.
Karl Liebknecht (1871-1919), di professione avvocato, fu deputato al Parlamento e lottò attivamente contro la guerra. Arrestato per i suoi comizi, fu la figura carismatica del movimento antimilitarista. Fondatore, con Rosa, della Lega Spartaco, del Partito comunista tedesco, nonché del giornale “Die rote fahne”. Nel 1919 capeggiò la rivolta di Berlino, lasciandosi travolgere dai moti insurrezionali di gennaio, nonostante le riserve sollevate da Rosa e Leo Jogisches. Fu assassinato con Rosa Luxemburg nella notte del 15 gennaio.
La gabbia (figlia di notaio) di Stefano Massini
- Scritto da Marcello Isidori
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La gabbia (figlia di notaio) è stato scritto nel 2005 e presentato in forma di mise-en-espace nel settembre scorso presso il Teatro Manzoni di Calenzano (FI). La produzione vera e propria ha debuttato con regia dell’autore nel gennaio 2006 per il Teatro delle Donne/Festival Autrici a Confronto, con Luisa Cattaneo e Maria Cristina Valentini. Lo spettacolo sarà prossimamente in scena in alcuni dei maggiori festival estivi (da Santarcangelo fino al toscano Festival di Radicondoli diretto da Nico Garrone che quest’anno dedica la sezione monografica al teatro di Stefano Massini). E’ in corso la distribuzione nei teatri italiani per la prossima stagione.
Nota dell'autore
Ho pensato a questo testo come ad uno spietato gioco drammatico di identità svelate. Voglio dire che tutto sembra chiaro, fino dall’inizio. In realtà c’è molto da scoprire, nella più ampia porzione di iceberg che sta sotto il livello delle apparenti posizioni. In questo senso è un testo che rappresenta molto la mia ricerca drammaturgica, tutta incentrata sulla definizione di una “mappa di segni”, di orme, di indizi utili per ricostruire una dinamica scenica solo in parte affidata alle battute: in ogni testo teatrale mi sforzo di offrire i cromosomi, il codice genetico di una situazione che se nella pagina scritta è inevitabilmente bidimensionale, solo sul palco acquista finalmente un profilo tridimensionale. In altri termini, odio le parole fini a se stesse. Amo invece le parole che creano nello spazio un insieme di atmosfere emotive, di immagini, di realtà evocate. Mi piace poi – ne “La Gabbia” - la scommessa di un dialogo estremo fra due donne che sembrano non aver più niente da dirsi. Perché qui le resistenze sono fortissime, e al di là dei singoli argomenti, è la stessa possibilità di un dialogo ad essere più volte contestata: il confronto nasce a fatica, filtrando fra un muro continuo di difese, menzogne, fughe reciproche. Affido a questi due ritratti di donna il compito di scendere a fondo, nelle viscere di una famiglia assente, di un confronto mancato e dei relitti umani che ne derivano. Ma non solo: “La Gabbia” è un mosaico dalle tessere impazzite, che si incastrano come schegge incontrollate. C’è l’individuo e c’è la società, c’è il singolo e c’è la comunità, c’è il microcosmo e il macrocosmo, c’è un’esperienza umana relativa che diventa metafora di una condizione assoluta. Ed è a quel punto che tutto crolla. Ecco: si tratta in fondo di un testo in cui si assiste a continue demolizioni e continue ricostruzioni, forse destinate a perdurare all’infinito. “La Gabbia” è una resa dei conti. In tutti i sensi. Nella nostra cosiddetta era delle “ideologie morte”, tento un ring dialettico di reale portata politica. E consegno a questo parlatorio il ruolo di scenario drammatico per un incontro/scontro di alta tensione emotiva.
Lo spettacolo è prodotto da:
IL TEATRO DELLE DONNE
Centro Nazionale di Drammaturgia
Direzione Artistica M.Cristina Ghelli
presso TEATRO MANZONI via Mascagni, 18
50041 CALENZANO (Firenze)
Tel. e Fax. 055.8876581 - 055.8877213
Così la stampa:
“LA GABBIA” del giovane Massini: frammento teatrale d’intima verità.
Recensione di Franco Quadri (2 aprile 2006)
Scrive storie d’artisti, veri o immaginari, Stefano Massini, e anche in un “frammento teatrale” come “La Gabbia” si mantiene fedele al suo dna, inventando una vicenda che peraltro ricalca la realtà molto da vicino. Nel parlatorio nitidamente delineato di un carcere, separato dagli spettatori da un’inferriata che ci offre il primo dei molti riferimenti al titolo del testo, vediamo dunque una scrittrice mondana di mezz’età in visita alla figlia brigatista, condannata per banda armata e reclusa da undici anni in cui tra le due non c’è stato alcun tipo di rapporto. Il colloquio ovviamente segue nella prima parte il prevedibile itinerario di un interrogatorio della visitatrice a cui l’inquisita oppone un muro di silenzi o di negazioni o di accuse, destinate a movimentare un dialogo fitto di sottigliezze che prevedibile non è, come dimostreranno di non esserlo la moglie e la figlia ribelle di quel notaio messo nel sottotitolo a qualificare una classica figura della conservazione borghese. Ma ben presto qualcosa interviene a smuovere l’incontro e anche a far cogliere alle due antagoniste un insospettato elemento di somiglianza reciproca senza costringere nessuna delle due a recedere per questo dalle proprie posizioni, che però arriveranno a specchiarsi l’una nell’altra, sottraendosi alle numerose gabbie che le costringono. E’ la sorpresa, o il colpo di scena, che arriva puntualmente al concludersi dei testi di Massini a capovolgerne il senso, da “La fine di Shavuoth”, prima sua prova importante, dedicata al giovane Kafka, a “L’odore assordante del bianco”, l’opera sulla clausura ospedalizia di Van Gogh che l’ha imposto all’unanimità come Premio Tondelli a Riccione 2005. In tutti questi casi, giunti al rovesciamento finale si prova il bisogno di rileggere il lavoro dal principio, mentre chi ne scrive sente di doverne tenere il segreto sulla conclusione, come se si trattasse di un giallo. Basterà dire che dalla sorpresa che riempie questa “Gabbia” (non indenne da influenze kafkiane, dandole un senso d’intima verità) non escono una vincitrice e una vinta, ma piuttosto un’emozione che induce ciascuna delle due donne a riconoscersi nell’altra fino a confondersi, sia pure per qualche attimo, con lei: uno stato d’animo che si rifrange sulla sensibilità dello spettatore inducendolo a sua volta a mettere in questione le troppe gabbie che limitano la sua vita.
Tu musica assassina di Manlio Santanelli
- Scritto da Administrator
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Tu musica assassina è stata letta dalla Compagnia Arca Azzurra al Teatro Due di Parma per la rassegna “Per la Prima volta in scena” il 13 ottobre 2000 con la regia di Franco Però. E' pubblicata in SCENA APERTA n° 3 – Scènes parthènopèennes – edizione Collection de l’E.C.R.I.T. OTTOBRE 2002 – Università di Tolosa.
Nota dell'autore
La tendenza al crimine, inteso come devianza dalle norme del vivere civile, (e come potrebbe essere inteso altrimenti?) non corrisponde ad un preciso segno sul volto e negli occhi del possibile criminale. E, con buona pace di don Cesare Lombroso, è una gramigna che, se sottoposta alle cure di un forte movente, può germogliare anche all’interno di coloro di cui diresti: “Ma che brave persone!” E tuttavia, ogni qual volta si verifica un evento più o meno efferato, i preposti alla sua indagine si accaniscono a cercare, nei precedenti dell’autore del crimine, elementi, dettagli o traumi infantili che ne possano aver condizionato la personalità. E’ il momento in cui anche i più inermi cittadini, per il solo fatto di trascorrere ore ed ore davanti ad una scacchiera, vengono sottoposti ad un “terzo grado”. Se ne evince che per molti esponenti delle Forze dell’Ordine anche il più innocuo hobby, coltivato in maniera smodata, prima o poi si tradurrà in una strage imprevedibile. Non c’è massimalismo più lontano dalla verità. Eppure, ad una più minuziosa riflessione, nella “dna” dell’hobby, in particolar modo se praticato da singoli o coppie naturalmente portati all’ossessione, vivacchia una tentazione che di colpo può generare l’irreparabile. E il paradosso si fa realtà. E’questa, in parole povere (ah, possedere parole ricche!), la vicenda che sconvolge la tranquilla esistenza di due coniugi colpevoli soltanto di amare la musica classica con un trasporto pressoché patologico. Aggiungasi che lui, direttore di banca, non solo è escluso dall’elenco degli abbonati all’Associazione Musicale della sua città (elenco chiuso), ma è anche costretto ad avere sotto gli occhi un suo subalterno e consorte che, grazie a uno scherzo della sorte, hanno ereditato una tessera che consente loro di assistere a tutti i concerti della stagione. Macbeth non si adombri, ma non troviamo un esempio migliore per descrivere a grandi linee ciò che via via sospinge il Direttore di Banca e sua moglie verso l’abisso. Ma come sono buffi, quanto fanno ridere nel loro impaccio, coloro che dall’oggi al domani contano di trasformarsi in killers più o meno seriali!
Così la stampa:
Recensione di Valeria Ottolenghi
Gazzetta di Parma del 15/10/2000
E' stato nella sala piccola del Teatro Due di Parma che si è seguita la piacevolissima lettura spettacolo Tu musica assassina di Manlio Santanelli, a cura di Franco Però: gli attori della Compagnia dell'Arca Azzurra hanno recitato con sensibilità, al leggio con pochi spostamenti, questo testo, in forma agile, spiritosa, sapendo dare carattere ai personaggi e ritmo all'opera nel suo insieme. Ci si deve immaginare un soggiorno arredato con gusto moderno che però non disdice qualche elemento di buon antiquariato, Viene spiegato in apertura, dove, unica presenza che non può non attirare immediatamente lo sguardo è "un mastodontico complesso stereo, corredato di tutti gli accesori possibili" Lì qualcuno ama davvero la musica! Sono Eufemio Tiberi, cinquantenne, vice direttore di banca, e sua moglie, Alda, la stessa età, insegnante, una coppia senza figli che, alle prime battute, sta compiendo una strana verifica: lui legge dal giornale i nomi dei defunti, lei controlla se corrispondono a un particolare elenco in suo possesso. Si verrà così scoprendo che loro due, così profondamente appassionati di musica, sono ancora esclusi dalla Società dei Concerti, che ha la regola ferrea del numero chiuso. Sono sì i primi nella lista degli aspiranti, ma è necessario che... muoia qualcuno! Di qui tutta una serie di indagini, anche presso il medico che ha il compito di seguire l'orchestra (come stanno gli spettatori? Alda ed Eufemio si fanno incalzanti) E in quello stesso stabile abita un'altra coppia, un po' più giovane, dai nomi speculari, Aldo ed Eufemia, con un bambino - e la tessera della Società dei Concerti! Loro, così grezzi, superficiali, insensibili d'orecchio, banali sotto ogni aspetto! Un vero insulto alla cultura... Può una passione artistica trasformarsi in motivazione per un assassinio? Seguiranno discussioni, equivoci, strani progetti - ma anche uno spiritoso e fresco confronto sull'ascolto musicale. Si può apprezzare la musica (si potrebbe dire anche il teatro) tenendo ugualmente vigile la mente e il cuore? Ma - soprattutto - riusciranno Alda ed Eufemio a partecipare agli agognati appuntamenti del giovedì sera? Come? Prendendo il posto magari di Aldo ed Eufemia? Tanti al termine gli applausi del pubblico, che ha saputo apprezzare testo e interpretazione, ridendo volentieri in più occasioni.